D’Ambrosio e Di Pietro
Non è la prima volta che una campagna mediatica distrugge un uomo. Loris D’Ambrosio è morto d’infarto come Vincenzo Balzamo. Il tema delle pubblicazioni delle intercettazioni telefoniche ad opera della magistratura è da tempo oggetto di tentativi di misure legislative. Personalmente credo che la responsabilità di gettare il “mostro in prima pagina” sia innanzitutto di chi quelle registrazioni, oggetto, a volte casuale, a volte premeditato, neppure di indagine giudiziaria, le diffonde. E in questo caso della procura di Palermo che stava indagando sul caso Mancino, a proposito della presunta trattativa tra Stato e mafia del 1992. Non ci si può nascondere dietro un dito. Gettare fango su un consigliere del presidente della Repubblica, come su qualsiasi altro cittadino, sulla base di registrazioni telefoniche effettuate da un magistrato, è davvero da irresponsabili. Che qualcuno abbia volutamente cavalcato questa vicenda, è il caso di Di Pietro, e si senta adesso in dovere di precisare di non sentirsi addosso alcuna responsabilità, lavandosi così da solo la coscienza, è un’altra manifestazione non solo di scarso senso dello Stato, ma anche di assoluta mancanza di pietà umana verso un uomo stroncato dal dolore e verso la sua famiglia così colpita. Che è poi quello che continua a mancare al leader dell’Italia dei valori: la “pietas” verso chi soffre, addirittura verso chi muore, soffocata sempre da un cieco furore iconoclasta verso tutti coloro che incappano, anche per caso, nelle maglie della giustizia. Chi ha invece fatto dell’umanitarismo la sua radice, partecipa al lutto con commozione e rivolge parole di rispetto verso l’uomo e di solidarietà verso la sua famiglia e verso il capo dello Stato, affranto per la perdita di un collobaratore e di un amico. Mai come ora ci sentiamo così vicini a Napolitano.
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