Voterei Kamala
A conti fatti penso che se fossi americano voterei Kamala Harris. Più per timore dei guasti che potrebbe combinare Trump che per meriti suoi, che ci saranno ma io francamente non li conosco, a parte il fatto di essere una donna, che merito non é. Ho letto il resoconto della convention di Trump raccontata con l’esperienza del cronista da Cazzullo quest’oggi sul Corriere e sono rimasto francamente molto imbarazzato. Che uno così diventi (per la verità non sarebbe neanche la prima volta) presidente degli Stati uniti, cioè della prima potenza mondiale, in condizione di determinare conseguenze nel mondo intero, c’é da preoccuparsi. E soprattutto in una fase come quella che stiamo attraversando. Perché Trump é convinto che i casi siano due: o vince o s’imbroglia. Come ha detto quando é stato battuto e quando ha seminato l’idea che l’America fosse una democrazia corrotta e i suoi hanno poi invaso il Parlamento. Non riconosce la sconfitta, e non riconoscendola non riconosce la democrazia. Oltre a dare della “stupida” alla sua rivale Trump si é esibito in ore di performances sul podio sostenendo di non essere un politico ma “una star”. Dunque avremmo una star e non un politico alla Casa bianca. Poi ha sparato a zero sugli immigrati sostenendo che ucciderà i messicani che ammazzano un’americano (si vedeva nel video proiettato) e che parlerà con Putin per far cessare la guerra in Ucraina. Con Putin non con Zelensky dunque, perché Zelensky, lo aveva proprio definito così, é il più grande commerciante, quello che “quando parte dall’America si porta via 60 miliardi di dollari”. Non una parola sul sostegno a una lotta contro un’aggressione. Trump monetizza anche gli ideali. E quando parla di democrazia s’intristisce perché dichiara che Orban é un grande statista. Sarà per la comune insensibilità verso gli immigrati o per la comune visione anti liberaldemocratica? Le tasse le abbasserà, lo stato sociale che aveva in mente Obama con la sua riforma sanitaria, sarà un lontano e sconfessato ricordo. Trump rappresenta una sorta di tardo populismo all’americana. Un presidente stile anni cinquanta con un deficit di democrazia e di attenzione ai fenomeni internazionali. Fosse stato per lui il piano Marshall non avrebbe preso piede e forse neppure ci sarebbe stata la discesa in campo nella seconda guerra contro il nazismo. Pearl Harbor? Avrebbe parlato con l’imperatore Hiroito per sistemare tutto. Mentre sul medio oriente resta fermo a Netanyahu, perché forse i palestinesi sono come i messicani. Un po’ rompiballe. Non parlerà certo con Al Kamenei. Trump rappresenta però, questo il pericolo, l’ideale per la fragilità e la disillusione americana, per chi rimpiange l’Amarica che fu e odia quella che é (che corre in aiuto dell’Europa, che sostituisce la Nato, che ha il debito in mano alla Cina). America furst dunque. Proprio come Putin che rappresenta l’ideale anti gorbacioviano, quello che non accetta la fine dell’impero e dell’unione sovietica (non importa quale dei due preferisca). E’ il mondo di ieri che Trump e Putin vorrebbero costruire con la chiavi nelle loro mani. Ma é impossibile, anche facendo leva sui sentimenti di rivalsa e di restaurazione di un passato che é appunto passato. E’ un desiderio, un sogno (o un incubo) cui gli americani non possono, almeno lo spero, credere. Né tanto meno volere.
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