Non saprei se all’alta astensione elettorale un contributo venga dalle diverse e contorte leggi elettorali che si sono più volte succedute. D’altronde che il tema di una diversa legge di tipo proporzionale e con le preferenze sia tornato d’attualità (si tratterebbe di un semplice ritorno al passato superato da plurime aspirazioni maggioritarie referendarie ed elettorali) ne è la testimonianza più evidente. In che modo votano (sarebbe meglio dire non votano) oggi gli italiani? Alle politiche si vota oggi col cosiddetto Rosatellum (il neutro latino è stato introdotto dal politologo Giovanni Sartori che ha definito Mattarellum la nuova legge applicata nel 1994 che portava il nome dell’attuale presidente della Repubblica: doppio voto sull’uninominale maggioritario per i 3/4 dei parlamentari e proporzionale con sbarramento al 4% per 1/4 di questi ultimi. Restava, come resta tuttora, il vincolo costituzionale del conteggio su base regionale dei senatori). Oggi il Rosatellum, che prende il nome dall’onorevole Rosato e che colma il vuoto lasciato dall’incostituzionalità dichiarata del Porcellum (che conteneva un premio di maggioranza senza definirne la quota) mantiene anch’esso una parte proporzionale, calcolata in 2/3, e una uninomale maggioritaria di 1/3. Ma il voto è unico. Cioè, se voto un simbolo sul proporzionale devo trovarlo anche sull’uninomimale. Non può esserci voto disgiunto. Quindi se voglio concorrere a eleggere nella parte uninominale devo coalizzarmi. Se no, è stato il caso del Terzo polo alle ultime elezioni, devo rassegnarmi a puntare all’elezione sulla quota proporzionale (lo sbarramento è al 3%) pur dovendo presentare lo stesso simbolo, senza ambizione di elezioni, sulla quota maggioritaria. In tutte e tre le leggi elettorali non sono previste preferenze. Le liste sono bloccate e l’elettore non può scegliere i suoi rappresentanti al Parlamento. Perché, si motivava, le preferenze sono sinonimo di corruzione. Ma le preferenze sono invece previste nella legge elettorale per il Parlamento europeo (un proporzionale con collegi molto vasti e con sbarramento che sale al 4%) e anche alle elezioni regionali (ogni regione si è fatta la sua legge con o senza sbarramento, in Toscana è al 5%, analoga anche in Sicilia, in Emilia-Romagna non c’è) e non c’è il ballottaggio. Anche per le elezioni comunali sono contemplate le preferenze. Mentre, almeno per ora, è stato soppresso il Consiglio provinciale, ma sono rimaste le province. Per le regioni chi arriva primo vince. I governatori possono candidarsi solo due volte tranne le regioni a statuto speciale che non hanno vincoli. Il ballottaggio con preferenze è previsto invece nei comuni superiori ai 15mila abitanti. Anche qui c’è un premio di maggioranza e il vincolo dei due mandati per i sindaci che non esiste invece per i comuni fino a 14.999 abitanti. C’è francamente da farsi venire il mal di testa tanto assurde, contraddittorie, diseguali siano queste leggi che dovrebbero facilitare e non complicare l’accesso degli elettori al voto e il dispiegamento della democrazia. Che in tutto questo si delineiino forme di accentuata olicrazia e anche monarchia (il potere dei sindaci e dei governatori appare assoluto e la stessa incompatibilità tra il ruolo di assessore, come delegato del sindaco o del governatore, e consigliere comunale e regionale lo testimonia finendo per togliere rappresentanza a chi ha maggior potere e cioè l’assessore e affidare maggior rappresentanza a chi ha un potere minore, cioè il consigliere. Si tratta di paradossi invero assurdi. Se ci pensiamo bene tutto l’apparato delle leggi italiane, esclusa quella delle europee, portano a indebolire il potere del popolo e a concentrare in poche mani (quelle dei capi partito che scelgono di fatto i deputati e i senatori, quelle dei governatori e dei sindaci che scelgono i loro assessori e siccome sono eletti direttamente prescindono dai consigli, ridotti oggi a pura formalità) tutto il kratos (potere) sottraendolo al demos (popolo). Una domanda. Ma in Italia c’è veramente ancora una forma accettabile di democrazia? Potremmo estendere la riflessione chiamando in causa tutte le forme di condizionamento dei vecchi e nuovi strumenti di comunicazione e delle schiere sempre meno numerose che li posseggono. E più in particolare del rapporto sempre piu stretto tra politica e denaro. Ma il discorso si allungherebbe.