I due Nietzsche
Adorato da destra, riscoperto da sinistra, per alcuni è “oltre la destra e la sinistra” (più di Occhetto, che nel 1989 voleva “andare oltre” e si trovò solo oltre se stesso), Friedrich Wilhelm Nietzsche è filosofo, forse più d’ogni altro, ancora al centro dell’attenzione. Variamente tradotto e interpretato. Anche da posizioni opposte. E dunque filosofo assai controverso. Come se quel che scrisse fosse o così poco chiaro o così banale da poter essere preso a riferimento da chiunque. Oppure così involuto da dare campo libero a interpretazioni così distanti. Prendiamo il giudizio sulle donne: se usassimo Freud per valutare Nietzsche dovremmo concludere che il suo complesso di Edipo era molto accentuato. L’odio per le donne era una sua costante da abbinare al suo culto per l’uomo guerriero, che poi riprenderemo. Resta il fatto che di donne egli ne conobbe bene solo una: sua sorella Elisabeth. E come la moglie di Socrate doveva essere davvero una rompiballe se no il marito non avrebbe consumato le sue scarpe a forza di deambulare per l’agorà ad incontrare gli ateniesi sfoderando la sua maieutica, così Elisabeth (che non sarà influente rispetto alla nazificazione del fratello, incontrando Hitler e donandogli il bastone del filosofo) doveva essere davvero una strega, perché delle donne Nietzsche parlò come degli ebrei, senza molto rispetto. Prendiamo solo uno dei tanti giudizi emersi dal suo evidente maschilismo estremo: In “Così parlò Zarathustra” affermò testualmente che le donne sono ancora galli e uccelli o nel migliore dei casi vacche. Leggermente più addolcito fu il suo giudizio quando nella stessa opera scrisse: “L’uomo dovrebbe essere educato alla guerra e la donna alla distrazione del guerriero”. Eppure fu amico di una famosa femminista, certa Malwida von Mayseburg (come potessero dialogare resta un mistero, un altro mistero di Nietzsche), che a Roma gli fece conoscere la ventunenne Lou von Salomè. Dal cognome dell’amata poteva trattarsi di una singolare omonimia con chi di teste di maschio aveva avuto così insano desiderio. Pare che il filosofo l’abbia anche chiesta in sposa, rifiutato. E così il rifiuto di lei, sia pur seriamente motivato dalla preoccupazione di un matrimonio tutt’altro che fondato sulla parità, dovette fornirgli una motivazione in più al suo odio verso l’altro sesso. Come quello di un gruppo di miei compagni di classe al Liceo che, essendo rifiutati dalle ragazze, fondarono l’associazione Cad (Comitato anti donne) il cui presidente-vendicatore, certo Mario Sabia, aveva anche il compito di punire quelle di loro che si fossero innamorate di altri. E siccome costoro, da invaghite con gli occhi sdolcinati, cambiavano anche espressione, e la correggevano con un di più di caramelloso, il vendicatore le schiaffeggiava perché “facevano la finta”. Si dirà che la concezione delle donne è un accidente nella filosofia di Nietzsche ed è vero. E allora cominciamo da lui. Da questo Friedrich Wilhelm Nietzsche, che era nato nel 1844 a Rocken da un pastore protestante, che morì probabilmente di tumore quando il giovane Friedrich aveva appena cinque anni. Ma che soffriva di tutti quegli invalidanti disturbi nervosi dei quali sarà vittima anche il figlio, che poi divenne pazzo. Friedrich s’innamorò prestissimo della musica e della poesia, molto più e molto prima che della filosofia. E compose musiche e poesie da dilettante. Gli rimase sempre presente, nella sua elaborazione e nel suo concetto di supereroe e superuomo, proprio la dimensione artistica. Era talmente precoce che assunse la docenza di filologia a Basilea prima ancora di laurearsi. E divenne cittadino apolide, dopo essere stato prussiano. Due i pilastri della sua vita. L’uno è Schopenauer, dal quale ricavò la natura della volontà, solo che mentre Schopy la risolveva negandola con l’ascesi Nietzsche la sostiene e l’afferma come esigenza e soffio vitale dell’uomo. Nasce la sua teoria della volontà di potenza e nasce nella consapevolezza che si era alla fine di un’epoca, quella dominata da Dio, dal vecchio Dio come lo definisce, dalla forza di Dio e dei suoi valori che sono negati nella società e che solo lui ha il coraggio di affrontare come prodotti di una epoca conclusa. Dio è morto, canta Augusto-Friedrich Wilhelm. Nomade anche lui come quei viandanti dei quali esalta la natura del vivere alla giornata. E’ l’epoca dei valori della società occidentale che Nietzsche mette sotto il banco. E si definisce come una sorta di dinamite, un distruttore mondiale della conoscenza. Nella contrapposizione tra quei valori e la natura dell’uomo Nietzsche mette sotto accusa quei valori ed esalta la natura umana per lui fino ad allora compressa e repressa. Contrariamente a tutte la altre teorie che invece continuavano ad esaltare valori che dominavano gli impulsi umani, e consideravano deviazioni le modalità con le quali vivano applicate (pensiamo a quelle tra la Chiesa e il cristianesimo, ad esempio) Nietzsche getta a mare i valori e salva tutto quello che era stato offuscato e represso. Si ritiene dunque un liberatore. Non solo un distruttore. Il secondo pilastro è Wagner, il musicista tedesco che la sua rivoluzione musicale aveva già inaugurato. E lo aveva fatto con un ritorno all’antichità, come anche Nieztsche col suo ricorso alle risorse dell’ellenismo e alla tragedia greca. Wagner poneva al centro del suo dramma in musica i miti della saga medioevale dell’eroe. Wagner era anche il musicista che aveva compreso la fine di un’epoca musicale e si era candidato a musicista e operista di svolta. Anche per lui come per Nietzsche i vecchi e tradizionali schemi musicali si erano consumati. Anche il suo Dio musicale era morto e doveva prenderne atto. Alle opere sorrette da musiche romanzate e dolci, da melodie accattivanti, da soggetti romantici, si sostituisce il dramma in musica con il leit motiv che si forma e si ripete con armonie diverse e con la prevalenza di fiati, anche duri e roboanti a scandire la forza dei suoi personaggi, che sono eroi guerrieri o antiche divinità. Altro che dolci Amelie e disperate Violette. Isotta, Gertrud e le altre donne wagneriane sono pezzi di mitologia che ritorna. Con Richard e Cosima Wagner Nietzsche trascorre un periodo sul lago dei quattro Cantoni e si dice estasiato da tanta forza e creatività. Il suo superuomo è simile al Sigfrido della Tetralogia wagneriana. Ma come con Schopenauer Nietzsche rompe sulla volontà rifiutando la noluntas e anzi ribattendo con la volontà di potenza, così con Wagner litiga di brutto sulla sua esaltazione del cristianesimo, in particolare nell’ultima opera del musicista tedesco: il Parsifal. Anche l’amore-odio per Schopy e per l’operista dell’Anello del Nibelungo sono tutt’uno con i due Nietzsche D’altronde la sua volontà di potenza si contrappone anche al cristianesimo, ma non solo. Nietzsche metteva più o meno sullo stesso piano la rivoluzione francese, il socialismo e il cristianesimo che insistevano sul carattere egualitario dell’umanità e addirittura lo esaltavano. Nietzsche lo nega. Gli uomini sono diseguali e i più forti sono da prendere a modello, non certo i più deboli. Se per Marx la storia è storia di lotte di classi per Nietzsche è lotta dei migliori contro i peggiori. E i migliori sono quelli che poi vincono perché sono migliori anche nella guerra, che è arte pura come la musica, la pittura e la poesia. Il suo mito è Napoleone, come per Machiavelli era Cesare Borgia. Nel libro “Al di là del bene e del male” mette in discussione ciò che è bene e loda ciò che è male. La sua provocazione cattura e affascina intere generazioni e avrà sviluppi anche nella filosofia tedesca del novecento, nella letteratura, nella musica. Il suo irrazionalismo, o meglio, la sua contrapposizione alla ragione hegeliana che trionfa sempre, al moralismo di Kant, è una nuova luce che s’accende contro tutto quello che prima di lui era stato tramandato. Nietzsche contro tutti. Parla degli altri filosofi come dei mentecatti. Salva i presocratici, ma non Socrate che corrompeva i giovani (l’avrebbe volentieri condannato a morte anche lui), accusa Pitagora e di Platone dice che era un Cagliostro. Di Spinoza scrive: “Quanta timidezza personale e vulnerabilità svela questa mascherata d’un recluso malaticcio”. Ci voleva lui, Friedrich Wilhelm, a capire che tutto quello che era stato scritto prima, tranne pochissime eccezioni, erano sonore cazzate. E dopo avere capito che era tutto da buttare e avere aperto la nuova fase (come le fasi delle quali scriveva il comunista Alfredo Reichlin, che in ogni suo articolo sull’Unità le chiudeva e poi riapriva a sua scelta come fossero sipari d’un teatro) Nietzsche si dà a scrivere la nuova tavola dei valori che realizzino gli ideali della grande salute, per attuare le quali elabora i concetti di volontà di potenza, superuomo ed eterno ritorno. La volontà di potenza è l’intima essenza dell’essere, e il superuomo colui che meglio la sa interpretare. E’ il superuomo che prende atto della morte di Dio e della caduta di tutte le certezze e sa passare dalla fase del “Tu devi”, di stampo cristiano, a quella dell’ “Io voglio” di stampo nietzschiano. E’ colui che dopo essersi liberato riesce a vivere senza condizionamenti la bellezza, ma anche la tragicità della vita senza obblighi. L’eterno ritorno è la concezione della storia non come una linea retta, ma come un circolo che sempre ritorna uguale a se stesso. Una condanna o un’opportunità? La vita non va dunque vissuta in attesa di un domani che non sarà migliore, ma momento per momento, accettandola per quel che è. Altro che storicismo e senso dell’inevitabile progresso e fiducia nell’avvenire. Concetti che nel Novecento appariranno più d’una profezia. Naturalmente non tutti gli uomini possono diventare superuomini (ci saranno sempre i Gattuso e gli Ibrahimovic). Vitalismo? Sì certo. E anche precursore dell’esistenzialismo, si possono rintracciare in Nietzsche anche tracce di Freud quando parla di istinti e bisogni naturali. Basta dunque con l’etica tradizionale che sopprime gli istinti naturali, Nietzsche mette in discussione ogni valore dell’etica precedente, afferma il suo odio per l’egualitarismo, la sua esaltazione dell’individualismo, la sua idiosincrasia per la democrazia, tutte cose che saranno riprese dalle dittature del Novecento e in particolare da quella nazista. I due Nietzsche qui divaricano. Quello nazista trionfa per primo, quell’altro progressista e innovatore viene alla luce dopo. Nietzsche, com’è noto, morì pazzo. E pazzo lo diventò dopo il 1889, quando era a Torino. Vide un cavallo fustigato a sangue da chi guidava la diligenza e si mise a piangere (ritorno al romanticismo?).Vedendo Nietzsche piangere lo pensarono subito impazzito e quando lo videro rotolarsi a terra urlante chiamarono il 113. Venne ricoverato in casa di cura psichiatrica. La legge 180 ancora non era stata emanata. Il Nietzsche filosofo si trovò a curare quello diventato matto. Non ci riuscì. E smisero entrambi di scrivere e di parlare. Poi Friedrich fu a Weimar dove abitava la sorella Elisabeth e dove chiuse gli occhi per sempre. Dopo Dio, era morto anche lui, allo scoccare del ventesimo secolo. Come tutti gli uomini e i superuomini, semplicemente cambiando colore.
[…] Tratto dal blog “L’Occhio Del Bue” (LINK) […]
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