Promesse e risorse
Non c’è dubbio che quello di Renzi sia un inizio sfolgorante. Per Bersani il nuovo governo manca di umiltà. E si tratta di un eufemismo. Resta il fatto che tra bagni di folla e programmi ambiziosi, il nuovo presidente del Consiglio dovrà tra poco affrontare il tema delle compatibilità economiche dei suoi giusti obiettivi. E poiché non penso che i suoi predecessori abbiano nascosto in soffitta le risorse che avrebbero potuto spendere, siamo ancora in attesa di conoscere con quali soldi il nostro Matteo riuscirà a finanziare il suo programma.
I problemi mi paiono di triplice valenza. La prima attiene al rapporto coi vincoli europei. È evidente che gli intendimenti del nuovo governo presuppongono una rincontrattazione dei parametri di Maastricht, e la conseguente possibilità di sfondare il tetto del 3 per cento nel rapporto tra deficit e Pil. Almeno per ciò che riguarda gli investimenti, senza dei quali peraltro il Pil non aumenta e il rapporto col deficit non diminuisce. Il secondo problema è come affrontare il fiscal compact, che scatta dal 1 gennaio del 2015, e che impone a tutti i paesi fortemente indebitati una riduzione al 60 per cento del rapporto debito-Pil in vent’anni. I più estremisti scambiano questo come una riduzione del semplice debito e conteggiano una contrazione del debito italiano dal 130 al 60 per cento, con un taglio del 70 per cento e dunque di circa 1000 miliardi (50 miliardi l’anno). Così sarebbe un suicidio. La verità è meno drammatica, ma non meno impegnativa. E cioè si tratta di ridurre il rapporto tra debito e Pil. Dunque aumentando la percentuale di Pil il taglio del debito sarebbe conseguente. Certo se fossimo senza sviluppo o con un tasso di crescita impercettibile, tutto diventerebbe insopportabile.
Poi ci sono i tagli di spesa e le alienazioni di patrimonio pubblico. Su questo il governo dovrà lavorare. Lasciamo perdere i populismi, ai quali lo stesso Renzi a volte si presta, sul taglio alla spesa per la politica, che è stato fatto e che dovrà essere completato, ma che non sposta nulla. Il piano delle alienazioni del patrimonio pubblico andrebbe presto illustrato e sottratto al caso, come com’è avvenuto nella vicenda Telecom, perché si possono creare margini per svendite sottocosto e per ingiustificati affari privati. Il taglio alla spesa pubblica dovrà per forza di cose essere anche impopolare e interessare la sanità e forse anche la previdenza, che sono i due settori più costosi. Per questo servirebbe forse una guida un po’ meno piaciona e di stile berlusconiano. Più seriosa e inflessibile. Se non vogliamo scomodare Dracone, alla Quintino Sella. Ce la farà Renzi a superare e poi governare i vincoli europei, a tagliare spese e a vendere beni per finanziare il suo ambizioso programma di governo che comporta più di cento miliardi di risorse disponibili? È quello che gli auguriamo e ci auguriamo per noi e per il futuro dei nostri figli.
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