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La bozza della proposta di legge d’iniziativa popolare. Alimentazione e idratazione obbligatorie dei bambini vivi dell’Africa. In Facebook quasi 30 mila adesioni

21 Febbraio 2009 2.144 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Perché adesso

L’Italia ha tagliato i fondi alla cooperazione allo sviluppo coi paesi del terzo mondo proprio in una fase in cui una globalizzazione senza regole, regimi dittatoriali, un uso distorto del territorio hanno accentuato, e non certo attenuato, gli squilibri e le tragiche conseguenze della fame e delle sete in diverse zone del pianeta. Questo avviene proprio nel momento in cui da parte della maggioranza e di componenti dell’opposizione parlamentare si esalta la sacralità della vita e la obbligatorietà dell’alimentazione e dell’idratazione artificiali per coloro che vivono in uno stato vegetativo anche permanente e contro la loro stessa volontà e quella delle loro famiglie. La contraddizione è troppo evidente. I principi devono avere logiche e coerenti applicazioni. E se la vita va salvaguardata, va innanzitutto salvaguardata quella di coloro che vogliono vivere e che non possono farlo. Il che è diritto, questo sì, inalienabile. E che invece è alienato da uno sviluppo distorto e ingiusto. L’Italia non può voltarsi dall’altra parte e far finta di niente, rifugiarsi dietro il paravento di una impossibilità che dipende da una forma di egoismo nazionale, alimentare un bisogno di sicurezza che significhi indifferenza ai drammi altrui e non esigenza di aiutare gli altri affinchè si limiti proprio quell’esodo dai paesi della povertà a quelli della ricchezza che poi produce fenomeni di difficile integrazione. Il ripristino delle risorse per aiutare coloro che hanno bisogno e anche quei bambini dell’Africa che muoiono ogni giorno di fame e di sete, dev’essere immediato e massiccio. E di più, occorre uno sforzo per arrivare a quello 0,7% del Pil che rappresenta l’obiettivo che l’Italia e gli altri paesi industrializzati si sono dati e che è stato anche recentemente confermato

Invertire la linea della cooperazione allo sviluppo

La cooperazione allo sviluppo nel nostro Paese ha una lunga tradizione d’impegno delle istituzioni e della società civile ed è radicata nella nostra cultura della solidarietà.
Con il suo impegno per l’aiuto pubblico allo sviluppo l’Italia ha svolto in passato un ruolo importante nel processo di riequilibrio della disuguaglianza tra Nord e Sud del mondo, che le ha conferito maggiore visibilità e peso nelle scelte presso le diverse sedi internazionali.
È questo il patrimonio che oggi rischia di venire meno.
Dalla seconda metà degli anni ottanta ai giorni nostri il contesto è infatti cambiato  in maniera profonda a seguito della caduta del muro di Berlino e della fine delle divisioni in blocchi contrapposti,  della nuova dimensione della globalizzazione che ha allargato il divario con i Paesi più arretrati, dell’attentato terroristico dell’11 settembre del 2001 ed il successivo accentuarsi delle crisi ed il proliferare dei conflitti bellici.
La cooperazione allo sviluppo e l’aiuto pubblico allo sviluppo (definito in sigla APS) devono inoltre misurarsi con una nuova realtà: l’emergenza umanitaria, il mancato rispetto dei diritti umani, le migrazioni, i disastri ambientali.
Di fronte a questo quadro, le ristrettezze di bilancio dei Paesi sviluppati, ed in particolare lo spostamento significativo di risorse sulla sicurezza e l’emergenza, tolgono all’APS quote enormi di risorse.
Anche l’Unione europea ha modificato gli strumenti dell’APS e sono cambiati i flussi di risorse verso i Paesi poveri. Si afferma anche in Europa una tendenza a dislocare maggiori risorse su sicurezza ed emergenza e a collocare l’APS  – salvo rare eccezioni – in un rapporto a volte totalmente subalterno alla politica estera dei singoli Paesi. Allargamento e politiche di prossimità mantengono l’APS nell’ambito dei Paesi ACP ( si definiscono così, a seguito degli accordi di Cotonou, i Paesi africani, caraibici e del Pacifico). In questo contesto, gli obiettivi del “Millennium Round”, sottoscritti da 189 capi di stato e di governo, rischiano di essere disattesi.
Ma il problema non è solo la quantità delle risorse: assistiamo ad una progressiva frammentazione delle politiche di APS, si confondono le finalità, la cooperazione diviene allora strumento ambiguo, talora funzionale soltanto al conseguimento di obiettivi di tipo neocoloniale, alla promozione del commercio o a obiettivi di difesa.
In particolare, l’impiego delle forze armate non può essere mai identificato con l’intervento umanitario o di cooperazione, che deve essere condotto con forze civili, anche per non riproporre vecchie politiche di potenza e di intervento unilaterale, che non aiutano la causa della pace né quella dello sviluppo.
La crisi della politica multilaterale e le nuove forme di alleanza a geometria variabile rendono questa ambiguità ancora più evidente e più complessi gli scenari futuri.

Il taglio del governo ai fondi per la cooperazione e lo sviluppo

Il governo  non è stato in grado di operare in questo nuovo quadro. Con l’ultima legge finanziaria  si sono tagliate ancora le risorse collocando il contributo italiano all’APS allo 0,1% in rapporto al Pil. E la riduzione delle risorse si è accompagnata alla rinuncia ad una seria politica di cooperazione. L’assenza di una specifica delega in materia ad un sottosegretario e il progressivo smantellamento della struttura tecnica della Direzione generale della cooperazione allo sviluppo hanno reso ancora più inadeguati gli strumenti della nostra cooperazione.
Dobbiamo trasformare i fattori di crisi in buone politiche di cooperazione.
Dobbiamo collocare la cooperazione allo sviluppo italiana in un ambito multilaterale, rendendola uno strumento efficace di lotta alla povertà e di sostegno ai processi di democratizzazione nei Paesi in via di sviluppo.
Dobbiamo infatti opporci alle scelte unilaterali, alla privatizzazione ed all’uso non sostenibile delle risorse e di beni  comuni (dall’acqua alle fonti energetiche), così come alla cancellazione di diritti fondamentali (salute, istruzione, lavoro…) essenziali per l’umanità, alla tragica realtà dei conflitti, alle nuove forme di povertà.
Non si esce dalla crisi della cooperazione senza far interagire le nuove forze che possono aiutare ad invertire e sconfiggere le politiche unilaterali e dissipative delle risorse del pianeta, con i nuovi interlocutori nella società: l’associazionismo, il volontariato, gli enti locali (cooperazione decentrata), le tante forme di impegno che hanno fatto emergere da Seattle a Mumbay, fino a Porto Allegre e a Firenze, grandi movimenti di solidarietà e di critica alle politiche neo-liberiste o mercatiste come si dice ora.
Dobbiamo ripensare la cooperazione come un impegno collettivo, come un patto fra cittadini e lo Stato, che non separi le attività, ma le renda complementari e coordinate, una politica nuova, con il coraggio di uscire da un confronto sterile di piccolo cabotaggio ed offrire una prospettiva di radicale cambiamento. Sarà dovere del governo garantire le “buone pratiche”, fissare obiettivi e campagne, ricercare le migliori risorse e competenze, anche in campo interna- zionale, da mettere al servizio della nuova Cooperazione allo sviluppo italiana.

Il ruolo dell’Europa e dell’Italia: lo 0,7% del Pil obiettivo da raggiungere presto

In questo quadro è essenziale il ruolo dell’Europa e la cooperazione italiana dovrà perseguire sinergie ed integrazioni con quella europea.
Il contributo europeo all’APS mondiale è di oltre la metà del totale: un ruolo importante ma non ancora sufficiente.
L’Europa ha bisogno di un’APS più comunitario e che colga e valorizzi le novità più significative e i maggiori impegni sulla cooperazione di alcuni Paesi europei.
Questo tipo di cooperazione non può che collocarsi in una dimensione globale, una “partnership globale per lo sviluppo”, ed indicare con chiarezza nuove modalità e nuovi strumenti per un’efficace lotta alla povertà ed alle disuguaglianze e per il sostegno a politiche commerciali finalizzate alla promozione della giustizia economica.
L’APS non deve produrre nuove forme di dipendenza: ogni intervento deve quindi in primo luogo promuovere le capacità e le risorse umane locali, garantire che le popolazioni oggetto degli interventi siano messe in condizione di partecipare consapevolmente, non di subirli dall’alto (responsabilizzazione), di poterli proseguire con le proprie forze (sostenibilità), di far sì che l’uso delle risorse sia monitorabile (trasparenza).
In questa dimensione la cooperazione allo sviluppo può interagire con la politica estera, con l’insieme delle politiche di cooperazione internazionale e proporre con trasparenza un nuovo patto fra cittadini e Governo. In questo senso la cooperazione diviene elemento di cerniera tra la politica interna e la politica estera.
Dovremo innanzitutto delineare un nuovo sistema della cooperazione che sia imperniato a queste importanti innovazioni:

  • una delega forte – un’autorità politica chiaramente definita e con piena responsabilità su tutti gli aspetti della cooperazione (attualmente divisa tra Esteri, Economia ed Ambiente) – che definisca gli indirizzi e li sottoponga all’approvazione del Parlamento;
  • un nuovo impegno, un rilancio virtuoso della cooperazione attraverso la definizione di un nuovo quadro legislativo che superi quello stabilito dalla legge 49/87 e la costituzione di un ente distinto, con una funzione di gestione delle risorse. L’Italia non è stata in grado di rispettare gli impegni presi (Barcellona, conferenza dei Ministri della UE, e Monterrey, marzo 2002, conferenza delle Nazioni Unite).
  • In primo luogo dobbiamo dunque armonizzare le nostre risorse con un incremento, chiaro anche se modulato, che ci avvicini agli altri Paesi europei, per raggiungere progressivamente l’obiettivo dello 0,7% del PIL;
  • dobbiamo considerare la possibilità di ricondurre ad una gestione unitaria tutti i fondi a disposizione della cooperazione, in particolare quelli impiegati attraverso le istituzioni di Bretton Woods, introducendo strumenti di controllo e di verifica parlamentare al fine di assicurare la coerenza delle politiche di cooperazione;
  • sulla base della legge 209/2000, ci impegniamo a promuovere e sostenere processi equi e trasparenti per la riduzione e/o cancellazione del debito estero dei Paesi in via di sviluppo.

Bozza di linee di una proposta di legge

  1. L’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) italiano è in continua discesa: tendenzialmente è al punto più basso degli ultimi vent’anni. L’ultimo episodio rilevante è la “scomparsa” del contributo di 130 milioni di euro per il “Fondo per la Hiv, Tbc e Malaria”, previsto dal governo Prodi e lasciato cadere nel vuoto dal governo attuale.. L’aiuto pubblico italiano è probabilmente, sfrondato di spese solo apparenti, meno dello 0,1% del Pil, in trend discendente. L’obiettivo internazionalmente riconosciuto è dello 0,7%,  e su questo obiettivo l’Italia come grande paese europeo si deve misurare.
  2. Gli obiettivi del Millennio sono l’orizzonte fissato dalle Nazioni Unite sono i seguenti:Sradicare la povertà estrema e la fame
    Garantire l’educazione primaria universale
    Promuovere la parità dei sessi e l’autonomia delle donne
    Ridurre la mortalità infantile
    Migliorare la salute materna
    Combattere l’HIV/AIDS, la malaria ed altre malattie
    Garantire la sostenibilità ambientale
    Sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo.

    Si tratta di otto parametri che tengono conto delle urgenze ed emergenze umanitarie, e al tempo               stesso hanno fatto evolvere il concetto di aiuto allo sviluppo da uno meramente quantitativo ad uno che tiene in conto democrazia e società civile (ruolo delle donne e delle comunità locali).

  3. Occorre vincolare l’aiuto allo sviluppo italiano a parametri quantitativi e qualitativi certi. Ad oggi è persino difficile calcolarlo in maniera seria, e ancor di più misurarne l’efficacia.parametro quantitativo è l’obiettivo dello 0,7% del Pil, calcolato annualmente,
    parametro qualitativo è l’impiego dei fondi in maniera diretta e verificabile, in primo luogo     negli obiettivi del Millennio.

    Occorrerà allora: – vincolare allo 0,7% un impegno di spesa; – vincolare l’impiego dei fondi agli obiettivi del Millennio attraverso un’Agenzia a controllo politico ma autonoma nella gestione del bilancio che offra ogni anno un prospetto chiaro e unitario delle azioni intraprese; che queste azioni siano misurate secondo criteri di efficacia internazionalmente riconosciuti.

Questi sono gli obiettivi e le proposte che sono emerse da un confronto con esperti del settore e che vi proponiamo in attesa di vostre considerazioni ed eventuali modifiche

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