Revisionismo non è negazionismo (a proposito dei fratelli Cervi)
Sono stato tra i promotori del confronto sulle vittime del dopoguerra, scaturito dopo la mia commemorazione del sindaco di Casalgrande Umberto Farri. Ho pubblicato sull’argomento un libro (“Storia di delitti e passioni”), ho contestato e contesto tuttora il dogmatismo resistenziale che continua a reagire ai libri di Giampaolo Pansa e a tutto quello che intende indurre a nuove ricerche di verità e di giustizia in nome di un’assurda, proclamata intangibilità della lotta partigiana. Ho sempre contestato slogan quali “Giù le mani dalla resistenza”. Le mani giù, d’accordo, ma la testa su, cioè ricerche storiche, acquisizione di nuove verità, ragionamenti laici sulle vicende del passato, non per demolire il mito, ma per aggiustare e, se è il caso, rivedere la storia. Ho sempre pensato infatti che la storia scritta esclusivamente dai vincitori possa essere parziale e non sempre veritiera o convincente. Questo non significa negare le verità più evidenti. Non significa negare che coloro che combattevano per la libertà e contro il nazifascismo avessero ragione e coloro che combattevano dalla parte di Hitler e Mussolini avessero torto perche ci avrebbero regalato, se avessero vinto, un Italia e un’Europa piuttosto invivibili, per usare un eufemismo. Non significa negare che i nazifascisti, o nel caso dei fratelli Cervi, i soli fascisti, commisero crimini terribili. E il martirio di sette fratelli uccisi al poligono di tiro di Reggio Emilia, come rappresaglia a seguito dell’uccisione, pare incomprensibile, da parte dei Gap, del segretario comunale di Bagnolo Davide Onfiani, certo lo fu. Si può affermare che altrettanto cruento fu il martirio dei sette fratelli Govoni, che combattevano dalla parte sbagliata (come canta nella bella canzone Francesco De Gregori). E si può affermare che non è accettabile il negazionismo all’opposto e la colpevole dimenticanza di crimini che vennero commessi anche da alcuni eroi della resistenza. Quel che non comprendo è il tentativo di sostenere non una giusta e documentata esigenza revisionistica, ma un negazionismo a senso unico. Che oltretutto finisce per determinare la creazione di nuove assurde barriere e vecchi steccati. Appare davvero incomprensibile, e oltre tutto controproducente, che per proclamare l’esigenza di verità sui delitti del dopoguerra (e anche su alcuni commessi durante la guerra, vedi per tutti quello di Azor), si finisca per gettar fango sulla resistenza. Anzi questo è proprio quel che ritengono inevitabile i dogmatici del resistenzialismo. Per questo motivo non comprendo nè le ragioni nè gli obiettivi dell’interpellanza del consigliere regionale Fabio Filippi che per esprimere l’idea che esistono anche altri martiri, pare negare il valore assoluto del sacrificio dei sette fratelli Cervi. Riproducendo non a caso vecchi steccati e reazioni con cartelli di “viva”, e non certo confronti, approfondimenti, ragionamenti. Si può infatti ritenere che quello dei sette fartelli Cervi sia stato un delitto mostruoso, senza per questo dimenticarsi di altri delitti. Si può ritenere che sia giusto onorare tutti i morti, senza dimenticarsi che non tutti i morti sono uguali, perchè non tutti combatterono per la libertà, cioè contro il nazifascismo. Si può ritenere che la resistenza sia stato un fenomeno positivo e unitario di forze diverse per cultura e tradizione, senza dimenticarsi quel che ha scritto nel suo famoso volume, “Una guerra civile”, lo storico Claudio Pavone e cioè che non tutti coloro che combatterono il nazifascismo lo fecero solo per conquistare la libertà, ma anche per combattere una lotta di classe e per il comunismo. Il negazionismo, purtroppo, finisce non già per danneggiare la resistenza, ma il revisionismo stesso. E non celebrare il lutto di una famiglia che ha dato sette figli alla causa dell’antifascismo e un papà, eroe greco nella sua tragicità, che diventò non più papà di sette ma papà di tutti, non porta certo acqua al mulino della verità.
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