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Appunti per un congresso

19 Aprile 2010 1.256 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Non si può aprire un confronto serio e argomentato nella nostra comunità politica senza partire dall’esame di  quel che siamo e dal contesto in cui ci muoviamo.

Quel che resta dei socialisti italiani

Noi, cioè il Psi, siamo quel che resta dei socialisti italiani. Siamo la sola comunità politica che ha oggi il coraggio di definirsi socialista, il solo partito italiano aderente al Partito socialista europeo, la sola forza politica che ha raccolto il testimone del vecchio Psi, senza mutarne i caratteri essenziali, pur riaggiornandoli e inserendoli nella nuova situazione politica e istituzionale. Non esiste l’identità socialista nel Pdl, dove pure sono confluiti molti dirigenti ed elettori socialisti. Essa è incompatibile sia con la collocazione internazionale del partito di Berlusconi, nel Partito popolare europeo, sia con la collocazione strategica nel polo di centro destra in Italia, all’interno del quale non si pone alcun partito socialista al mondo. Per di più tale scelta ha finito, soprattutto nell’ultimo periodo, per scontrarsi apertamente con la storia del Psi, che è caratterizzata da un’attenta sensibilità al tema dei diritti civili e della laicità. I casi della legge sulle coppie di fatto, e soprattutto il caso Englaro con l’indecente decreto legge tentato dal governo e bloccato dal presidente della Repubblica, e l’altrettanto indegna legge prospettata ad un Senato convocato d’urgenza per negare la libera scelta di una ragazza, drammaticamente testimoniata al padre, hanno visto gli ex socialisti su una posizione di retroguardia e di inspiegabile sottomissione alla maggioranza integralista, superati perfino da Fini e dagli ex democristiani. D’altra parte non esiste al momento alcuna possibilità di organizzare una posizione socialista riformista e liberale nel Pd, tuttora dominato da un doppia tradizione, tutt’altro che superata, e che nega la pari dignità ad una terza, non a caso a suo tempo soffocata, e cioè a  quella laica e socialista. Il Pd è un partito nato duale, anche se ormai frammentato in gruppi di potere diversi e alle prese con una crisi in cui l’aggettivo socialdemocratico risulta la prevalente accusa rivolta dagli uni verso gli altri e da questi ultimi generalmente smentita.

Il bipolarismo, la crisi dei partiti della seconda Repubblica. Il ritorno alle identità storiche

Sappiamo bene che la nostra posizione è alternativa al bipartitismo e anche a questo bipolarismo all’italiana. Cioè al bipolarismo senza identità. La diffcoltà di tenuta del sistema Italia, così come si è configurato dal 1994, è sotto gli occhi di tutti. Il nuovo sistema non ha assicurato una migliore governabilità , con le crisi cicliche delle varie maggioranze che si sono quasi tutte sgretolate nel corso delle varie legislature, offrendo sul piatto d’argento la vittoria elettorale sempre alle opposizioni. Il paese dell’alternativa impossibile si è trasformato così nel paese dell’alternativa di legislatura. E questo per la incapacità della coalizione vincente di restare unita e di produrre quel che gli elettori avevano sperato. La crisi italiana è una crisi di sistema politico. L’astensione elettorale ha raggiunto ormai livelli altissimi e sconosciuti dalla tradizione italiana, i partiti post identitari sono alle prese con divisioni e fratture forse insanabili. I partiti organizzati per vincere in coalizioni coatte finiscono necessariamente per esplodere. Questa è la nostra scommessa per il futuro. Dinnanzi a noi stanno due prospettive: o l’evoluzione dei partiti post identitari verso non partiti (vedasi le idee di Vendola sui comitati e le fabbriche di idee con leader carismatici, dunque un’evoluzione del Pd verso un partito berlusconiano di sinistra) o il ritorno alle identità storiche, sulla scorta del panorama europeo. Noi auspichiamo e lavoriamo per questa seconda ipotesi. E’ questa la premessa fondamentale per scegliere il modello istituzionale. Noi capovolgiamo i termini della situazione. Non dobbiamo scegliere un sistema istituzionale prima del sistema politico. Dobbiamo scegliere il sistema politico e su questo ricavare un coerente sistema istituzionale ed elettorale. La nostra propensione deve andare al sistema identitario europeo e al sistema proporzionale ed istituzionale tedesco, federalista, parlamentare.

I tentativi falliti di rilanciare il Psi solo da parte degli ex socialisti

Dal 1994 ad oggi diversi sono stati i tentativi di rifondare in Italia un soggetto socialista. Essi si sono scontrati, nella prima fase, con la violenta criminalizzazione che dei socialisti è stata fatta da entrambi i poli, ma soprattutto da quello di sinistra. Poi con l’impossibilità concreta di riaggregare attorno ad un nuovo partito la vecchia diaspora, in larga parte ereditata da Berlusconi proprio alla luce del fenomeno prima descritto. In questi sedici anni sono stati effettuati diversi tentativi. Il primo è stato quello del Si, che si orientò ad essere una semplice, anche se comprensibile, scialuppa di salvataggio per naufraghi, ma che, dal 1998, ha promosso il primo serio tentativo di unire i socialisti italiani con la fondazione dello Sdi, che comprendeva, oltre al Si di Boselli, il Ps di Intini, il gruppo di Claudio Martelli e il Psdi di Schietroma. Questo nuovo partito affrontò le elezioni europee del 1999 convinto di potere suscitare un consenso superiore a quel 2,1 % poi conseguito e che fu alla base delle separazioni successive, la più significativa delle quali fu quella che nel 2001, a un anno dalla morte di Craxi ad Hammamet, che consentì la creazione del Nuovo Psi (mettendo insieme la Lega socialista di Bobo Craxi e Claudio Martelli, che lasciò lo Sdi, e il Ps di De Michelis). Ma questo nuovo partito, che contrariamente allo Sdi, si collocava in alleanza con la Casa delle libertà, non riuscì a riaggregare che una minima parte di elettori socialisti confluiti in Forza Italia e ottenne alle europee del 2004 esattamente lo stesso risultato che lo Sdi aveva conseguito cinque anni prima: il 2,1%, peraltro subito sciupato da nuove divisioni e separazioni interne. L’ultimo tentativo, quello decisivo, è stato affidato alla riunificazione delle forze dello Sdi e del Nuovo Psi (una sua parte, però, si dissociò per confluire poi nel Pdl) ai quali si aggiunsero alcuni parlamentari in uscita dai Ds che non avevano accettato di dar vita al Pd. La cosiddetta Costituente socialista si scontrò con un duplice errore: quello compiuto del gruppo dirigente dell’ex Sdi di considerare Prodi il punto di riferimento, il suo governo come una panacea, mentre si stava dissolvendo sotto i nostri occhi e con lui l’Unione, osteggiando conseguentemente Veltroni, considerato come una sorta di usurpatore e quello dello stesso Veltroni di accordare l’apparentamento a Di Pietro, negato ai socialisti e ai radicali. Con la splendida conseguenza di aver così creato una sorta di vampiro che s’è messo a succhiare i voti dal Pd predisponendo la sua fine. Un unico insegnamento dopo tanti anni di prove: un partito socialista, ha ragione Emanuele Maccaluso su questo, non può contare, ben che vada, sul 2% dei consensi. E esso, se rinascerà in Italia, non potrà essere frutto del solo impegno degli ex aderenti al Psi. Più che pensare al superamento della diaspora, occorre pensare a un nuova Gerusalemme.

Ma la prospettiva socialista riformista e liberale resta la nostra. Non “nel” ma “oltre” il Pd

Il congresso di Montecatini poteva essere un’assise di scioglimento. In fondo altre forze politiche (pensiamo al Psiup nel 1972) avevano alzato bandiera bianca alla luce di una sconfitta elettorale che aveva azzerato un’intera rappresentanza parlamentare. Si optò per la continuità, ma non tanto perché sicuri di un’immediata rivincita, quanto perchè sicuri di non essere sostituibili. E’ questo il punto fondamentale della nostra pervicace insistenza nel panorama politico italiano, sia pur da comunità extra parlamentare. Il Psi non c’è oggi, come identità, collocazione europea e programma politico, in nessun’altra forza politica italiana. Non c’è altro partito nel Pse, non c’è altro partito che si definisca socialista in Italia e non c’è altro partito che, contrariamente alle scelte prevalenti dei due poli e dei due maggiori partiti, metta insieme e concili la riforma della giustizia, per contrastare la sua politicizzazione con la necessaria separazione delle carriere e i due Csm (vedasi la proposta di legge della Rosa nel pugno firmata anche dai parlamentari del Nuovo Psi nella passata legislatura), la più intransigente difesa della laicità dello stato, e un moderno riformismo sociale attinto dalle legislazioni dei più avanzati paesi europei e che ponga al primo posto non già la tutela dei già tutelati, ma quella dei giovani e dei disoccupati, senza totem e tabù inviolabili, e prendendo spunto dalle molte giuste intuizioni di un martire socialista della violenza rossa, come Marco Biagi. Un partito con queste tre caratteristiche (liberale, laico, riformista) non esiste in Italia. Per questo non possiamo confluire nel Pd, che mantiene su ognuna di queste tre questioni un’ambiguità di fondo (otre a quella della sua collocazione europea). E più che la disponibilità a confluire nel Pd noi siamo disponibili ad andare oltre il Pd. Cioè a partecipare a un nuovo soggetto politico che parta dalla presa d’atto che il Pd è fallito e non è utile alla vittoria di un centro sinistra italiano sempre più battuto ed umiliato. E che anche in Italia è giusto, storicamente e politicamente, creare un soggetto europeo socialista o socialdemocratico, la mancanza del quale è proprio causata dalla vecchia anomalia italiana, e cioè dalla presenza di un forte Pci, la cui evoluzione non ha mai voluto orientarsi nella direzione giusta, del superamento delle divisioni della sinistra storica, e che ha così determinato la nuova anomalia italiana, e cioè la formazione di un partito democratico che non esiste in nessuna parte d’Europa. La vecchi anomalia è alla base della nuova. Ma la sinistra non è uscita dal suo fattore K con un fattore D che le consenta di battere più efficacemente la destra.

Da Montecatini ad oggi. Tentare di ripartire dall’emergenza democratica

Per questo da Montecatini ad oggi abbiamo puntato al primum vivere, che potremmo anche tradurre, nel primum sopravvivere. O nel meglio tentare di vivere che morire. E’ una tattica discutibile, ma necessaria. Anche perchè l’alternativa era quella della scomparsa definitiva. Ci siamo sentiti come quel tale che avrebbe avuto le idee per cambiare il mondo (e anche tante ragioni dalla sua) ma che ne poteva parlare solo in famiglia. Abbiamo preso atto del silenzio decretato su di noi dalle tv di Stato e di Mediaset e dalla stampa, contrariamente ad altre forze politiche extra parlamentari. E abbiamo denunciato l’illegalità dell’attuale sistema politico italiano costituendo anche un apposito Comitato per l’emergenza democratica, sollenemente ricevuto dal capo dello Stato. In un paese dove i salotti televisivi  e le stesse notizie ci sono precluse, dove si eleggono deputati e senatori nelle segrete stanze dei vertici dei partiti, dove giornali e tv sono nelle mani di gruppi economici e finanziari tutti orientati politicamente e dove la stessa magistratura è lottizzata da un Csm in mano a correnti politiche, esiste ancora la democrazia? Se esistono spazi di democrazia e di confronto, lo si deve unicamente alle recenti scoperte tecnologiche, ad Internet, alla posta elettronica, a facebook, a quegli strumenti che non consentono oggi a nessuno di creare un regime totalitario, anche se lo volesse. Abbiamo agito come un movimento, con azioni ignote alla pratica del nostro partito. Oltre al Comitato per la democrazia, abbiamo distribuito e fatto volare foglietti di propaganda nell’Aula della Camera per protestare contro la nuova indegna legge elettorale per le europee, abbiamo manifestato la nostra solidarietà al capo dello Stato con un sit in dinnanzi al Quirinale, abbiamo prodotto appuntamenti dinnanzi al Senato per il caso Englaro ecc. Spesso, come nel caso della raccolta di firme per le nostre proposte di legge d’iniziativa popolare, ci siamo scontrati con la natura d’un partito più orientato a mobilitarsi per elezioni locali dove i singoli candidati devono raccogliere preferenze, che non per obiettivi politici. E questa è una critica amara, ma doverosa, perchè è impossibile immaginare una dimensione del partito se la sua natura è un’altra.

I limiti di Sinistra e libertà

Sapevamo che era necessario tentare di ottenere una presenza nel Parlamento europeo e l’accordo con Sinistra e libertà, alla luce dell’intervento legislativo con lo sbarramento al 4%, si è rivelato necessario. Qualcuno lo ha erroneamente scambiato per un progetto politico e qualcun’altro addirittura per un nuovo partito. Vi è stato anche chi, in omaggio alla nuova alleanza, ha ipotizzato una nuova identità del Psi, sulla scorta di nuovi movimenti estremistici europei (la Linke tedesca), una sorta di svendita del nostro patrimonio ai nostri interlocutori. Questa posizione è stata sconfitta dentro il partito e Sinistra e libertà ha partorito un discreto risultato elettorale (il 3,1%) anche se non ha prodotto l’elezione di alcun parlamentare. Dopo le elezioni europee si è posto il problema della creazione di un nuovo soggetto politico di Sinistra e libertà e giustamente il Psi (dopo che anche la maggioranza dei Verdi si era dissociata) ha declinato l’offerta. Se volevamo rimanere un soggetto liberale, laico e riformista, non potevano certo confonderci in un magma di vecchi massimalismi e neo comunismi. D’altronde Nichi Vendola, che pure rappresenta indubitabili elementi di novità nello scenario della sinistra italiana, resta un fenomeno pugliese o poco più. La sua lista al nord e anche al centro, già alle europee, non ha certo ottenuto un risultato soddisfacente.

Il positivo risultato elettorale delle regionali

Tutto questo non ha impedito tuttavia alle singole regioni di stabilire alleanze elettorali o con il solo Vendola (la Calabria) e con l’insieme di quel che restava di Sinistra e libertà (il Veneto, la Campania, la Puglia). In soli tre casi (l’Emilia-Romagna, la Liguria e la Toscana ) il Psi ha scelto di candidare suoi esponenti nelle liste del Pd e negli altri ha tentato la presentazione del suo simbolo o di un simbolo socialista. Il risultato è stato positivo e i socialisti eletti sono risultati 14. Più dei Verdi, di Sinistra democratica, dei vendoliani, dei radicali. Come eletti siamo la terza componente politica del centro sinistra. Se vogliamo denigrare anche questo risultato, come si sente in giro, forse in omaggio all’abitudine di commentare solo delle sconfitte, lo possiamo anche fare. Certo è evidente che le elezioni di nostri militanti in liste non omogenee pone al partito un problema di coordinamento e di armonizzazione politica. Ma questo lavoro sarà assai meno complicato del compito che spetta all’Udc, la quale vanta consiglieri regionali eletti addirittura in alleanze contrapposte, ma che non ha mancato di commentare con grande soddisfazione il risultato ottenuto. Siamo adesso alle prese con l’ulteriore delicato passaggio dell’elezione delle nuove giunte e con la possibilità di ottenere qualche ulteriore presenza negli esecutivi.

Frustrazione, realismo, lavoro comune

La nostra comunità ha conosciuto in questi anni anche umiliazioni. Ma ha voluto tenere duro. Molta acqua è passata sotto i ponti da quando Bettino Craxi era considerato un criminale. La celebrazione del decennale della sua morte è avvenuta in un contesto di generale apprezzamento per l’opera svolta dal nostro vecchio leader. Anche se restano, questo è il clamoroso caso di Di Pietro, assurdi e indecenti preconcetti. D’altronde il superamento della pregiudiziale Craxi sarebbe per Di Pietro una sorta di annullamento della sua stessa ragione di esistere. E come conseguenza non sarebbe neppure un pessimo servizio per la sinistra italiana e per la stessa democrazia italiana. Noi possiamo cantare vittoria, perchè se è cambiata l’opinione su Craxi e anche sui socialisti, è merito anche nostro, è merito di coloro che non hanno ammainato bandiera e che non si sono rifugiati nel comodo guscio dei partiti prevalenti e vincenti, che verranno, però, alla lunga (mica tanto), giudicati responsabili del periodo storico più cupo della democrazia italiana post bellica. Questa consapevolezza dovrebbe animare tutti i militanti della nostra comunità politica, che sono spesso invece propensi a scambiare i limiti della nostra azione con la volontà del gruppo dirigente del loro partito, a volte addirittura paragonandolo a quello del vecchio Psi, e sconfinando così in un’epoca così lontana da noi e dalle nostre possibilità. Così non si genera che frustrazione in noi stessi. Tutti i militanti del nostro partito dovrebbero, dopo una critica, sempre avanzare una proposta. Che cos’altro si doveva fare, ad esempio, in occasione delle elezioni regionali? Imporre a tutti la presentazione del simbolo del partito? Ma costoro non sono per caso anche coloro che propongono un partito di stampo federale? E come si sarebbe mai conciliata un’imposizione nazionale con una libera scelta regionale? E siamo sicuri che un’eventuale imposizione nazionale avrebbe sortito risultati migliori? Di tutto questo dovrà discutere il prossimo congresso nazionale, che la segreteria intende convocare entro l’estate. E’ necessario un grande sforzo di elaborazione di idee, anche provenienti dal territorio, che mettano a disposizione della nostra comunità le piattaforme per i prossimi anni in uno spirito di confronto e di unità, fondati sull’esatto riconoscimento della situazione nostra e del contesto in cui agiamo, degli spazi aperti dalla crisi del nostro sistema politico e dei nostri interlocutori e dalla nuova attenzione verso la nostra storia e la nostra identità. Questioni, queste ultime, non sufficienti, ma necessarie per la nostra operazione di Resistenza.

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