Fini come Domingo. Difficile cambiare timbro
Confesso che sono sempre stato sincero estimatore di Gianfranco Fini. Almeno da quando egli iniziò, ancora giovane, a frequentare i salotti televisivi con distacco e ironia. Ho già scritto che giudico la svolta di Fini autentica e frutto di una revisione che è maturata negli anni, come era possibile già dedurre dai suoi interventi nella legislatura 2006-2008, che anch’io ho avuto modo di frequentare dai banchi della Camera dei deputati. Non giudico quindi il discorso di Mirabello uno strappo col suo più recente passato, nè una posizione frutto dell’opportunismo, dell’invidia, dell’ambizione repressa. Col suo recente passato, appunto. Quel che mi riesce difficile da accettare è che vi sia invece un qualche rapporto di continuità tra le attuali posizioni del presidente della Camera e il suo passato remoto. Quello che lo vide segretario del Msi, delfino di Giorgio Almirante, convinto assertore della destra nazionale che tentava anche un rapporto col suo trascorso più problematico. Capisco che Fini avesse il problema, a Mirabello, di non disconoscere le radici, di conciliare il suo distacco da Berlusconi e la sua nuova condizione di autonomia con l’orgoglio della vecchia identità. La verità è che quel che Fini dice oggi non ha quasi nulla a che vedere con la storia della destra. Nè sui temi della laicità, nè su quelli della sicurezza, della solidarietà e dell’integrazione agli extracomunitari, del loro diritto di voto alle amministrative anche senza nazionalità. E cito due temi tutt’altro che marginali. Su questo e su molto altro ancora. Fini si colloca oggi alla sinistra di Berlusconi, anche se convengo che ormai si tratta di parole discutibili, e non può dunque parlare a nome della destra, e in particolare di quella del passato, alla quale invece in più d’un passaggio ha voluto raccordarsi nel suo discorso. Sembrava Placido Domingo nel Rigoletto mantovano televisivo. E’ molto difficile trasformarsi da tenore in baritono. C’è un problema di timbro che pare irrisolvibile. Fini si è trasformato da uomo di destra a liberal progressista. Sono convinto che in lui la trasformazione sia pienamente riuscita. Adesso canta da baritono. Si dimentichi però di quando cantava da tenore.
Parole estremamente apprezzabili e sincere le Sue che dimostrano una consapevolezza politica nuova. Ci troviamo davanti a fenomeni epocali, a nuove sfide che la politica ha il deve di percepire come parte integrante di un processo evolutivo, all’insegna di precisi valori. Serve insomma, più consapevolezza politica verso la grandi sfide. Affermare l’idea di un’Italia dinamica, evolutiva, orgogliosa delle proprie tradizioni, ma non ripiegata su una cultura chiusa. Oggi la globalizzazione, la caduta delle frontiere, la caduta del comunismo, l’immigrazione, la costruzione dell’Europa, sono processi evolutivi inarrestabili che impongono una politica nuova.
Ho l’impressione che questa trasformazione sia a metà, ci troviamo a metà del guado, il percorso si è rivelato tortuoso e lento. Se l’Europa è stata da molti europei percepita come un’entità fredda, lontana e burocratica è probabilmente perché la politica negli ultimi anni, non sembra molto credere in se stessa. Non è riuscita a proporre con la necessaria convinzione, l’integrazione dei popoli e degli Stati come una grande meta della civiltà europea. Credo che la vita politica dell’Onorevole Fini non sia stata facile, proprio a causa della sua militanza all’interno di un partito difficile come l’MSI, in modo particolare in quel preciso periodo politico, animato da forti battaglie ideologiche. Le motivazioni che hanno spinto l’allora militante Gianfranco Fini verso un partito di destra estrema, credo che siano state mosse da una totale dissonanza di valori che animava l’altra parte politica. Credo che l’allora scelta di Fini non sia stata dettata da una condivisione in toto dei valori e delle metodologie politiche del’MSI, ma ben sì da una totale estraneità di valori verso l’altra parte politica, la sinistra. Non va poi dimenticato che la militanza di Fini all’interno del’MSI, è stata caratterizzata da quella moderazione politica che inizialmente non era piaciuta gran che alla maggioranza dei militanti. Motivo che induce a credere ancor più che questo attuale cambiamento di rotta che ha caratterizzato il nuovo assetto politico di Fini, facesse parte di un preciso disegno politico del passato, volto a dar vita a una destra liberale. Proprio per questo motivo sono convinto che la svolta di Fini non capiti a caso, ma che faccia parte di un percorso iniziato molto tempo fa. Un rinnovamento democratico, distaccato dai vecchi stereotipi politici che animavano le ideologie del passato, all’insegna di una nuova destra che sappia affrontare queste nuove sfide, questi nuovi processi evolutivi inarrestabili che la politica ha il dovere di governare. Mirabello, può essere considerato l’inizio di un percorso che caratterizza una nuova destra europea. La nuova autonomia politica di Fini, con molta sincerità credo la si possa tradurre in una “Democratizzazione dell’attuale PDL”. Credo che oggi sia molto difficile individuare la Destra e la Sinistra, cos’è la destra e cos’è la sinistra, e soprattutto cos’è di destra e cos’è di sinistra. Naturalmente ciò non significa che siano scomparse le ideologie, ma quando il “suo perché” diventa la scusa di un contrasto che non c’è e non ha più ragione d’esistere, quando la politica perde la percezione della realtà, quando si allontana sempre più dai veri valori che dovrebbero animarla, amplificando quel distacco dai reali problemi del paese, quando si trasforma la politica in un laboratorio d’idee appiattite su realtà del passato, senza percepire le continue mutazioni che ci circondano, allora la politica non è più futuro, è solo passato che riaffiora nel presente. Fini oggi rappresenta una nuova destra, liberale, europea e moderna.
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