Pitagora e le fave, Socrate e Santippe
Pitagora e le fave
Pitagora era proprio matto e come tutti i matti fu molto seguito. Anzi fu il primo filosofo, scienziato, matematico, mistico, musico, politico ad avere una setta, con tanti seguaci che lo seguivano dogmaticamente. Senza fiatare. E che da lui percepivano e praticavano anche le più strambe dottrine. Lui aveva un’idiosincrasia ossessiva per le fave. Ed era difficile giustificarla filosoficamente. Forse pensava che facessero male al fegato più dei fritti di mare e vietava di mangiarne. Addirittura si dice che Pitagora morì trafitto dagli scherani del suo nemico Cilone per non voler attraversare un campo di fave che gli avrebbe consentito di salvarsi. Meglio la morte delle fave. Peggio dell’aglio per un vampiro… C’era un mio amico che odiava le cipolle e non ne mangiava mai anche perchè, diceva, “se mi capita di stare con una donna le sfiato addosso”. Solo che le donne non gli capitavano mai a tiro e lui si privava di un cibo piacevole senza ragione. Meglio una donna domani che una cipolla oggi? Che dire di un uomo che odiava le fave? Uno che si trasferì a Crotone nella Magna grecia quattro secoli prima di Cristo e quasi due millenni prima che molti crotonesi (da Cutro) si trasferissero a Reggio Emilia? Lì iniziò a insegnare le sue dottrine. Tra l’altro si dedicò alla matematica e alla geometria. Anzi di fatto le fondò, almeno la geometria. Famosa la sua: “Il quadrato costruito sull’ipotenusa di un triangolo rettangolo è pari alla somma dei quadrati del due cateti”. Anche lui credeva nella mistica virtù del triangolo, molto prima di Renato Zero. Ma la sua teoria che mi ha sempre impressionato era quella della metempsicosi. Cioè della reincarnazione dell’anima. E che, non facendo egli distinzioni tra uomini e animali, era a suo dire presente in tutti i generi viventi. Così un uomo poteva diventare uccello e un pesce poteva diventare uomo. Con quella teoria si potrebbe capire l’origine del Buttiglione o del Brunetta. Lui, che era allievo di Anassimandro, proprio per le stretta connessione tra uomini e animali, tutti avevano l’anima, vietava di cibarsi di carne e fu il primo vegetariano della storia, molto contestato per questo dal dottor Giorgio Calabrese nelle trasmissioni di Porta a Porta (Crotone aveva due porte di accesso alla città). Pitagora e i pitagorici fondarono anche un partito che proclamava che la virtù stava nella sapienza e che l’ignoranza era la più grave malattia. Ci voleva poco a metterli sotto (oggi sarebbero un’esigua minoranza) e così un partito democratico che non sapeva mai che posizioni prendere, capitanato da un tizio di nome Dalailema, li mise in minoranza seguito dai più e con le armi e molti di loro furono uccisi e altri fuggirono e tornarono in Grecia. I superstiti ripresero a mangiare le fave, nonostante la Grecia non fosse ancora entrata nell’euro…
Socrate e Santippe
Socrate dicono fosse davvero molto brutto. Aveva un faccione, ce lo ricorda Platone (l’unico che ne abbia parlato, assieme a Senofonte), che quello di Giuliano Ferrara doveva sembrare scavato. Ma allora, contrariamente a oggi, l’aspetto fisico contava molto poco. Socrate era figlio di uno scultore e di una levatrice. E la mamma gli lascerà in dono la maieutica. E cioè l’arte di partorire, non già bambini, ma ragionamenti. La sua fortuna, che gli consentirà di passare alla storia come una sorta di profeta di una nuova civiltà (lo considerano in molti come un precursore di Cristo), fu il suo matrimonio. Sposò una certa Santippe, che dovette essere una vera sciagura. Una donna rompimpalle come poche. E che gli parlava continuamente rimproverandolo di essere troppo al lavoro, poco a casa, di non sistemare il letto e di non lavare i piatti. Insomma le cose che le mogli solitamente rimproverano ai mariti. Ma Santippe lo faceva continuamente, ossessivamente e Socrate, che non ne poteva davvero più, per evitarla usciva di casa. E così cominciò a filosofeggiare, passeggiando per Atene. Piuttosto che rincasare Socrate si fermava a parlare con chiunque avesse incontrato. Giorno e notte. Santippe litigava da sola e gli ateniesi, invece, si godevano Socrate. Dicono che Socrate sia diventato omosessuale anche per questo. Meglio un uomo che Santippe, una donna con due trippe. Non tutti però erano contenti di imbattersi in lui, perchè Socrate fermava continuamente tutti quelli che incontrava e attaccava un bottone che non finiva mai. Doveva essere anche gratificante parlare con uno che ti chiedeva cos’erano la verità e la giustizia e il bene comune. E che poi ti dimostrava che non era vero niente di quel che tu sostenevi e ti conduceva pian piano verso la sola verità e cioè il dubbio, E la sua tesi, quel “sapere di non sapere”, era la dimostrazione che nessuno poteva detenere verità assolute. E che lui, che era detto il più sapiente, lo era perchè era cosciente di non sapere nulla. Dicono che un suo allievo, figlio di un povero contadino ateniese, si sia sentito domandare dal padre: “Che cose hai imparato dal tuo maestro Socrate?”. E lui di rimando e sicuro di sè: “Di sapere di non sapere”. Il padre se ne andò sconsolato imprecando ai soldi spesi per le lezioni. Socrate, come si sa, venne condannato a morte via cicuta dal tribunale ateniese, perchè la sua predicazione corrompeva i giovani. Si formò il pool “Menti pulite”. E il grande filosofo, al processo (presente Platone che fu una sorta di cronista giudiziario del tempo) diede il meglio di sè. Non si difese per essere assolto, ma per essere condannato. Rifiutò l’avvocato Lisia, antenato di Niccolò Ghedini, e parlò lui. Accettò la condanna a morte, rifiutò di fuggire come gli era stato proposto dai suoi e bevette la cicuta davanti a Platone, che poi scriverà su questo il Fedone. Prima di morire, adagiato sul letto, con le gambe ormai intorpidite dal veleno, disse le ultime parole e rivolgendosi al discepolo Critone se ne uscì con questa frase: “Ricordati che siamo debitori di un gallo ad Asclepio”. In tanti si aspettavano un nobile messaggio finale, una conclusione di vita con l’ultima sua volontà. E invece il grande Socrate si ricordò di un gallo che doveva essere riconsegnato a qualcuno. Naturalmente in tanti vollero interpretare queste parole. E ci fu chi volle vedervi un estremo sacrificio alla divinità. Chi la manifestazione di una beffa finale, ironica e tagliente come Socrate sapeva essere in vita. Non volle ricordare il suo “Conosci te stesso”, nè chiese ai discepoli di continuare la sua opera, quella di uno che aveva di fatto inventato la filsofia morale e l’etica e che aveva smesso di occuparsi dell’acqua, del fuoco, dell’aria, del numero, del noumenos e via dicendo e si era dedicato all’uomo. E che aveva inventato la logica con quei suoi ragionamenti che poi Aristotele perfezionerà in un sistema. No, parlò del gallo. E da allora il gallo divenne una sorta di animale sacro. E celebrato nella famosa canzone, “Il gal l’è mort”, tradotta dall’ateniese direttamente in dialetto milanese.
Leave your response!