Ermes Grappi: un comunista diverso
L’avevo incontrato col gruppo dei suoi amici riformisti, forse l’anno scorso, a cena. C’erano Vincenzo Bertolini, Gianni Bernini, Antonio Bernardi, Rosario Genovese. Il troncone riformista del vecchio ceppo comunista reggiano. Quello con quale noi socialisti non facevamo fatica a trovare accordi di collaborazione. Perchè la pensavamo più o meno allo stesso modo. Grappi era la punta di diamante del gruppo. Una sorta di vecchio saggio a cui far ricorso periodicamente. Era un uomo dolce e disponibile, curioso, attratto ancora, maledettamente, dalla politica. Ne aveva per tutti. Ricordo che, e la sua era una posizione originale, non accettava l’idea che dopo il buio periodo comunista staliniano ci fosse stata una svolta autentica a Reggio col nuovo segretario Salati, che veniva da più parti invece salutato come un rinnovatore. Del resto, quando i primi antistalinisti come Gianni Farri, Athos Porta e Antonio Cavicchioni, e anche Grappi era tra questi, avevano fondato a Reggio il Circolo di cultura, il Pci dell’epoca, ma c’era ancora Onder Boni alla sua guida, lo fece chiudere sol perchè i suoi dirigenti avevano deciso di chiamare a Reggio Antonio Giolitti, che s’era opposto alla invasione sovietica dell’Ungheria. L’abbandono da parte di Grappi del suo ruolo di funzionario e di dirigente del Pci e la sua decisione di andare a lavorare in fabbrica nel 1958 testimonia il suo travaglio, e anche il suo isolamento politico. La sua posizione sul caso Magnani- Cucchi è testimoniata da più d’un intervento l’ultimo dei quali, recentemente pubblicato proprio in occasione del sessantesimo anniversario del congresso provinciale del Pci del gennaio del 1951 nel quale il caso nacque. Grappi ha sostenuto che tutti “si dovrebbero vergognare”, compreso lui stesso, per quel che fu detto e scritto allora. E apre un ragionamento sulla possibile trasformazione, con una sorta di Bad Godesberg, del Pci in partito socialdemocratico europeo già in quel periodo, se il suo partito avesse scelto di seguire Magnani. Prospettiva, io penso, ancora attuale oggi, e finora mai realizzata in Italia.
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