Il Psi ponga la questione morale a Di Pietro
Dubbio amletico di Di Pietro e situazione kafkiana. In un’intervista sui suoi troppi patrimoni, l’ex piemme di Mani pulite, per difendersi da un evidente eccesso di familismo, ha sostenuto: “Mia moglie non è mia moglie”. E chi è allora? La moglie dell’onorevole Donadi? Avrebbe anche potuto aggiungere: “Mio figlio non è mio figlio”, tanto “paternitas semper incerta est”. E concludere con una clamorosa rivelazione e cioè: “Io non sono Di Pietro”. Tanto nessuno lo avrebbe costretto a rivelare la sua identità col carcere preventivo usato per la confessione. A volte la storia è davvero bizzarra. Ma anche riparatrice di tanti torti. La trasmissione della bravissima Gabanelli sul tesoro immobiliare di Di Pietro e sulla sua gestione dei fondi pubblici non può lasciare indifferenti i cittadini italiani e, sopratutto, i socialisti. Personalmente sono dell’idea che il Psi, che ha vissuto in questi anni soprattutto grazie al contributo dei suoi militanti e a un modesto finanziamento pubblico, gestito con assoluta trasparenza e che certo gli ha consentito a malapena di sopravvivere, non possa accettare che un leader politico abbia accumulato un ingente patrimonio negli ultimi anni, proprio mentre svolgeva le funzioni di parlamentare e di ministro. Si parla addirittura di 56 immobili comprati e venduti, intestati a lui stesso e alla moglie, mentre con assolluta discrezione pare sia stato gestito il consistente finanziamento dello Stato con la moglie tesoriera e il figlio consigliere regionale a 10mila euro al mese. Se poi sommiamo gli scandali a getto continuo che hanno travolto numerosi esponenti dell’Italia dei valori, le transumanze plurime, il tratto camaleontico di numerosi suoi rappresentanti, allora viene spontaneo un interrogativo. Ma il Psi, questo Psi, cosa può avere in comune con questo partito monocratico e dall’allegra finanza, garantista e innocentista solo con se stesso e non cogli altri, illiberale e manettaro, ma spesso assai peggiore di coloro che vuole condannare? Come possiamo noi, socialisti liberali, concepire un’alleanza politica o anche solo un dialogo con un partito soverchiato da questioni morali e spesso anche gudiziarie? Dio benedica il presidente Napolitano che ha costretto la sinistra a stracciare la foto di Vasto. No, ciò che divide i socialisti da Di Pietro è oggi proprio il rispetto della legalità. Ma intendete bene da che parte, però. E non solo il rispetto delle istituzioni, in primis il Quirinale. Potremmo forse aggiungere: “Chi di questione morale ferisce di questione morale perisce”, o richiamare il vecchio detto di Nenni sui puri più puri. Invece oggi noi siamo semplicemente in condizione di richiamare la nostra diversità morale da Di Pietro. Il vecchio Torquemada meneghino assomiglia sempre di più al moralista di Sordi e De Sica. Inflessibile di giorno, disponibile di notte. Noi siamo invece poveri, ma felici.
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