Due papi, lo stesso presidente
Credo che la scelta di ricorrere uniti a Giorgio Napolitano sia doverosa. Innanzitutto verso un Paese che ha seguito incredulo lo sfrangiamento del Pd avvenuto sui suoi stessi candidati. Poi, verso un presidente amato da tutti gli italiani, che ha saputo interpretare al meglio le sue funzioni di garante dell’unità nazionale. Napolitano è stato forse il presidente che più ha recitato un ruolo politico di primo piano senza mai farlo come uomo di parte, è stato meno popolare del solo Pertini, ma più attento e fine nell’intervento sul quadro politico, meno clamoroso e picconatore di Cossiga, ma più incisivo di lui, difensore strenuo dei suoi poteri senza debordare in esternazioni irrituali e spesso eclatanti. Prudente quanto basta, coraggioso anche, quando è stato utile, come nell’operazione Monti. Insomma, forse il miglior presidente. Anche per questo rivolgersi a lui mentre il Parlamento offre la peggiore immagine di sé appare perfino una scelta obbligata. Questo significa, è chiaro, offrire al presidente anche un potere nuovo. Se a Napolitano il Parlamento si rivolge per salvare se stesso, quel che resta della sua credibilità, è naturale delegare al presidente anche la scelta del futuro governo ed adeguarsi alle sue scelte. Lo dico innanzitutto ai dirigenti del Pd, che hanno sempre escluso la scelta di un governo di larghe intese col Pdl. Questa sarà la scelta naturale, magari in una versione edulcorata, con un governo del presidente guidato, si dice oggi, da Giuliano Amato, con ministri forse non direttamente emanazione dei partiti, ma con una maggioranza parlamentare formata da Pd e Pdl. Per arrivare a questo c’è stato bisogno di due mesi di follie, di divisioni e lacerazioni inquietanti d’un partito allo sbando com’è apparso a tutti il Pd. C’è stato bisogno dell’umiliazione di due prestigiosi personaggi come Marini e Prodi. La politica ha i suoi tempi, si dice spesso. Oggi i tempi hanno travolto e umiliato la politica. Renzi ha dichiarato che la Chiesa ci ha messo meno a eleggere un papa di quanto la politica ci abbia impiegato a fare un governo e adesso, potremmo aggiungere, a eleggere un presidente della Repubblica. C’è di più. Oggi viviamo la duplice anomalia di una Chiesa che per la prima volta si è trovata a dover fare i conti con le dimissioni di un papa e di una politica che per la prima volta deve rieleggere un presidente della Repubblica per non deragliare. Quando si dice: son segni dei tempi…
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