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Letta manent

30 Aprile 2013 1.392 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Il presidente del Consiglio Enrico Letta ha svolto la sua relazione politica e programmatica con senso della realtà. Ha fotografato l’emergenza sociale, dovuta alla crisi dell’economia e ai vincoli europei. Ha evidenziato la necessità di proposte coraggiose, sull’Imu, cedendo alla richiesta vincolante di Berlusconi, sulla minor tassazione per le aziende e le famiglie, sui nuovi occupati, sugli ammortizzatori sociali. Soprattutto ha sottolineato l’urgenza di una riforma del welfare tradizionale, basato sulla protezione per chi è già occupato e per gli anziani, affinché possano essere tutelati soprattutto i disoccupati e i giovani. Un welfare delle nuove povertà, avremmo detto un tempo. Non uno stato sociale in cui tutto si fa per i già protetti e nulla per i non protetti, come più volte ha indicato saggiamente Pietro Ichino. Per smuovere le acque della conservazione e della rassegnazione è necessario far ripartire la crescita. E modificare alcuni parametri europei. L’Italia è ancora in recessione e per far ripartire la crescita occorrono misure di natura fiscale e di sblocco di patti che impediscono investimenti e addirittura pagamenti. Una manovra che potrebbe portare subito allo sfondamento dei vincoli europei. Altri paesi sono già posizionati assolutamente fuori da tali vincoli, come la Francia. Non si capisce perché l’Italia continui a indossare invece vestiti così stretti e fastidiosi. È evidente che lo sfondamento momentaneo dei vincoli potrebbe permettere poi un rientro negli stessi attraverso l’aumento del Pil. Letta ha parlato anche della nuova legge elettorale e della forma di stato che dovrebbe essere oggetto di una vera e propria Convenzione, cosi come dei costi della politica. Fare il ministro e il parlamentare non darà diritto a due stipendi e la vecchia legge sul finanziamento elettorale verrà abrogata. Meno convincente Letta è apparso sulla capacità di individuare le coperture di spesa. Resta grave, anche se comprensibile,  data la natura del suo governo, l’omissione sui temi dei diritti civili e sulla laicità  dello Stato. Vorrà dire che questi temi saranno di competenza del Parlamento dove esiste, per la prima volta dopo molti anni, una maggioranza laica. Così come permangono perplessità sulla reale volontà dei singoli partiti di concepire il suo governo allo stesso modo. Nel Pd c’è già chi parla di governo a tempo. Ed è ben strano che un partito ridotto in quel modo non veda l’ora di andare alle elezioni per perdere. Dopo due mesi anche i più agguerriti esponenti del Pd che avevano escluso in ogni modo un governo di unità nazionale, o di servizio come lo chiamano adesso, paiono però rassegnati. Il solo Civati più un indipendente hanno rifiutato di accordare la fiducia alla Camera e perfino la Bindi e al Senato l’agguerrito ex giornalista der Tiggì tre Mineo si sono allineati. Meglio tardi che mai. Certo si poteva fare prima quel che si è fatto adesso. Si sarebbero risparmiati tempi e denari. E anche evidenti contraddizioni.

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