Un Papa socialista?
Camillo Prampolini sosteneva che Gesù Cristo era stato il primo socialista. Pubblicò su questo tema la sua Predica di Natale il 25 dicembre del 1897. Poi continuò con parabole e racconti che accomunavano i valori cristiani a quelli socialisti. Egli contrapponeva entrambi alla Chiesa del suo tempo, così poco cristiana da scomunicarlo due volte proprio per questa sua eretica commistione. Era la Chiesa dei ricchi e dei preti che predicavano bene e razzolavano male. La Chiesa che si alleava coi borghesi e i conservatori contro i socialisti. Oggi Papa Francesco, che non a caso ha assunto il nome dal frate di Assisi, il prete dei poveri e della natura, ha voluto dedicare il suo primo significativo viaggio agli immigrati di Lampedusa. E nell’isola, collocata all’estremo lembo italiano, ha lanciato la sua crociata contro la globalizzazione dell’indifferenza. Ha salutato i clandestini come figli di Cristo e ha avuto parole di cristiana pietà per i morti, esaltando il pianto e accusando chi si ritiene innocente. Viene alla mente un canto del maggio del 1968 ripreso da Fabrizio De Andrè: “Anche se voi vi sentite assolti siete per sempre coinvolti”. Non solo una predica, dunque, caro Cicchitto, ma una presa di coscienza politica dei danni di un assetto del mondo fondato ancora sul disequilibrio e l’ingiustizia. Cosa deve dire un Papa che abbia a cuore i valori cristiani, quelli di amore per il prossimo, quelli di giustizia e solidarietà, che certo sono anche quelli propri dell’umanesimo socialista, non certo del socialismo scientifico, né tanto meno del leninismo? I valori non violenti e pacifici che Cristo ci ha tramandato e che un filone del socialismo ha fatto propri? Che il Papa sia diventato socialista? Avvisate per favore Camillo Prampolini, risvegliatelo dall’eterno riposo, perché la novità è di quelle che non si possono perdere. Quello che mi ha affascinato nei turbolenti e luttuosi giorni del G8 di Genova non è stata certo la manifestazione violenta dei No global, né son state le consuete e desuete parole d’ordine che inneggiavano alla rivolta. No. Quel che mi ha incuriosito e anche stuzzicato era quello slogan di un gruppo di manifestanti che scandiva una frase, ritmandola: “Siamo tutti clandestini”. In fondo è vero. Solo il caso ci ha fatto nascere in un Paese e non in un altro. E questo non ci dà il diritto di vedere morire senza un profondo senso di colpa coloro che tentano di fuggire dalla miseria e dalla morte. Il Papa c’è l’ha voluto ricordare. E noi non dobbiamo dimenticarcelo nella politica quotidiana e nelle leggi che ci apprestiamo a varare. Certo queste convinzioni non possono portare all’accoglienza assoluta. E questo non perché in sé non sarebbe giusto, ma perché provocherebbe l’effetto opposto. Non solo la reazione dei residenti, ma anche la mancata risposta agli immigrati. Che hanno bisogno di lacrime, ma soprattuto di risposte concrete. Ma senza pietà e senza il dispiegamento del valore della giustizia gli egoismi nazionali, in perfetto stile leghista, saranno d’ora in poi tutelati contro il volere del Papa. C’è da giurarlo…
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