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Stadi italiani e biglietti nominativi

23 Agosto 2013 5.410 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Marco Iaria, sulla Gazzetta dello sport di venerdì 24 agosto, nell’articolo “Vai allo stadio? Auguri…”, coglie nel segno. E individua nei biglietti nominativi la causa più significativa della disaffezione da stadio degli italiani. In tante occasioni si è voluto prescindere, nell’analisi del fenomeno, da questo aspetto, chiamando in causa principalmente l’obsolescenza degli stadi e l’invadenza delle televisioni. Credo anch’io, invece, che la difficoltà di acquistare un biglietto sia il fattore determinante per scoraggiare gli sportivi a recarsi allo stadio. Parto da una precisazione e da un’autocritica. L’introduzione dei biglietti nominativi risale ai due decreti Pisanu del 2000 e del 2001, che ammettevano però l’istituto delle deroga e l’esclusione dell’applicazione della norma per gli impianti inferiori ai diecimila posti. Con il decreto Amato, convertito nel 2006, si è invece abolita ogni deroga e portata la capienza minima per la normativa dei biglietti nominativi a 7.500 posti, ridotta poi sotto i cinquemila. L’autocritica riguarda il mio voto, visto che a quell’epoca ero parlamentare, membro della commissione cultura e sport della Camera, ove sono stato il primo presentatore, nel 2007, della proposta sugli stadi, che ancora giace in Parlamento. Pensavo, dopo l’omicidio Raciti che, assieme a norme repressive, sarebbero state adottate, sullo stile del modello inglese, anche norme permissive, tali da responsabilizzare i tifosi. Stadi senza barriere, eliminazione delle gabbie per gli ospiti e altro. Non si è fatto nulla. Oggi gli stadi italiani sono gli unici d’Europa desolatamente vuoti, con spazi inutilizzati e chiusi dalle questure, con prefiltraggi. filtraggi, tornelli, tessere del tifoso che sono assolutamente necessarie per tutti i tifosi non solo per acquistare l’abbonamento, ma anche per recarsi in trasferta. Chi vuole comprarsi un biglietto prima della partita non può. E la maggioranza dei tifosi è costretta ad abbonarsi, col risultato della Juve, che ha lo stadio pressoché esaurito in abbonamento, ma vuoto per larghi spazi, perché non tutti gli abbonati vanno a vedere le partite. Pensi alla serie B e alla Legapro. Ma chi è che compra il biglietto in banca il giovedì senza sapere se il sabato o la domenica avrà ancora voglia di andare allo stadio, se ci sarà bel tempo, se avrà litigato con la moglie. Concludo con un’osservazione e una proposta. In nessun paese d’Europa esistono le normative italiane. Sarebbe ora di adottare un unico modello europeo, una sorta di normativa Uefa che valga per tutti i paesi. Basta con questa confusa burocrazia italiana, un misto di tortura e di sadismo. E la proposta è questa. Perché la Gazzetta non si fa promotrice di un incontro nazionale sul tema coinvolgendo governo, Parlamento, Coni, Federazione, Leghe, Osservatorio e altri?

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