Essere (intervento di Mauro Del Bue al congresso di Venezia)
Siamo qui per risolvere il famoso dilemma di Amleto. Siamo qui per essere, per vivere, e progettare il futuro. Ma per essere dobbiamo potere affermare la nostra diversità. Come nel febbraio del 1957 proprio a Venezia, il PSI di Nenni sviluppò la sua autonomia politica, così oggi, ancora da Venezia, noi affermiamo la nostra volontà di esistere, cioè di fare, non per testardaggine o per abitudine, ma perché il nostro spazio non si è esaurito. Anzi pare oggi dischiudersi sia pure in forme nuove.
La nostra proposta congressuale è l’unità dei socialisti europei, la presentazione di un’unica lista alle prossime elezioni europee. Questo è il tratto unificante delle tre mozioni, che invece si differenziano sul come essere socialisti in Italia e sul apporto col governo Letta. Francamente non penso che Pd e Sel accoglieranno la nostra proposta di unire le forze con un’unica lista del socialismo europeo alle prossime elezioni, anche se con noi voteranno Martin Schulz al vertice della Commissione. È ben strano che il più piccolo dei partiti proponga l’unità ai più grandi e questi ultimi siano gelosi della loro indipendenza. Vuol dire che i più grandi hanno paura di assumere l’identità del più piccolo, l’unico che l’identità ce l’ha. Si può essere piccoli numericamente ma grandi per identità, si può essere grandi numericamente, ma piccoli, divisi, incerti e deboli perché privi di identità. Il Pd si è accorto finalmente che esiste l’Europa e che si deve fare una scelta di allineamento con essa. Peccato che non se ne sia accorto al momento della sua nascita e durante questi anni. Se oggi se n’è finalmente reso conto e sceglie il campo socialista, questa la dobbiamo considerare una vittoria, una nostra vittoria, visto che a quest’approdo noi lo abbiamo richiamato, stimolato, incoraggiato e indotto anche con la nostra iniziativa critica. E ciò riguarda anche Sel che ha chiesto l’adesione al socialismo europeo, dopo lunghe e travagliate riflessioni.
S’apre per noi alla luce di questa novità una nuova, vecchia questione. Essere solo socialisti europei e dunque dichiarare chiusa la nostra esperienza nel momento in cui altri sono ormai avviati a divenire quel che siamo sempre stati o continuare a essere, perché non siamo solo socialisti europei, ma anche e soprattuto socialisti italiani ed è col socialismo italiano che costoro dovrebbero confrontarsi
La nostra scelta è chiara.
Noi siamo stati socialisti liberali. Io lo sono più che mai ancora oggi e credo che tra noi e gli altri partiti della sinistra restino almeno quattro questioni ancora non risolte, rispetto alle quali non è venuta meno la nostra diversità, rispetto alle quali non vale la nostra omologazione, quattro questioni richiamate nella nostra mozione e solo in essa, sulle quali concentro il mio intervento.
La prima riguarda il giudizio su questo ventennio che noi abbiamo definito seconda repubblica mai nata e che abbiamo anche processato e condannato in quella iniziativa che mi sono permesso di proporre e che il partito ha splendidamente organizzato a Roma. Sono stati vent’anni neri, di decadenza politica, economica e anche morale. Ebbene di questo noi non sentiamo alcuna responsabilità e dal banco degli accusati a cui una giustizia di parte ci aveva relegati alla metà degli anni novanta, ci dobbiamo trasferire sul banco degli accusatori. Con coraggio, senza tentennare, senza esitare. Chiedere di dar conto del perché il debito pubblico che quando Craxi scese dal governo era all’86 per cento del Pil, ed era tanto, forse troppo perchè non si era tagliato abbastanza, sia poi arrivato oggi al 133, sottolineare come la crescita che negli anni ottanta era il doppio di quella europea è poi divenuta negli ultimi vent’anni meno della metà, con una recessione che sembra non finire mai tanto che quando noi parlavamo di nuove povertà avevamo in mente un paese che quelle vecchie stava ormai superando mentre oggi siamo tornati al primum vivere, alla difficoltà di sopravvivere, alla povertà di vecchio stampo, pretendere le ragioni di una politica di asservimento acritico all’Europa, quando semmai sarebbe stato utile una classe dirigente con lo spirito di Sigonella, ostinata a difendere l’interesse nazionale e a pretendere se necessario anche la ricontrattazione dei parametri di Mastricht. Giudicare il ventennio della speranza smarrita per le nuove generazioni con oltre il 40 per cento di disoccupati, con la democrazia in soffitta, con il Parlamento dei nominati, i listini regionali dei raccomandati, popolato da finte igieniste dentali e da consiglieri specializzati in gite turistiche e hotel di lusso con cene a base di ostriche e champagne, con tesorieri che rubano nelle casse dei loro partiti e partiti che rubano la libertà ai loro iscritti. Il ventennio del dipietrismo col suo vate ispiratore scopertosi abile immobiliarista e ricco proprietario mentre noi senza soldi e potere e animati solo dalla nostra passione ci siamo rintanati nei sottoscala dei condomini di periferia per continuare a fare politica. ll ventennio del falso bipolarismo. Un bipolarismo in cui sono costretti a collocarsi i partiti italiani e che si sfalda sempre il giorno dopo le elezioni. Il bipolarismo truffa perchè si presenta in un modo agli elettori e in un altro in Parlamento. Un bipolarismo che è in default sia nella forma bastarda, italiana, sia nella forma classica di stampo europeo, soprattuto a causa della crisi che ha partorito dal suo seno forti movimenti di contestazione di destra, di sinistra e senza collocazione, che rendono meno distanti i partiti socialisti e popolari di quanto non lo siano entrambi da questi movimenti di contestazione radicale. Questo ventennio che appartiene anche al Pd, non ci appartiene. E prima si concluderà e più saremo contenti, non solo per noi, ma soprattuto per l’Italia. Il ventennio dei manager di stato più pagati, altro che stipendi dei parlamentari, sui quali si sono concentrati giornalisti o disinformati o in malafede. Il sistema politico italiano sta crollando. sta crollano per intero dopo la scissione di Alfano, e i singolari analoghi sussulti della parte opposta. Tenteranno una legge elettorale per rimetterlo in piedi. Non credo per quel poco che possiamo fare, che dobbiamo agevolarli.
Alla denuncia la proposta. Dobbiamo voltare pagina. Al più presto e in modo netto. Occorre un vero e proprio piano di risanamento e di rilancio di un paese in ginocchio, varare una nuova legge elettorale che io auspico dunque proporzionale di stampo tedesco e un rafforzamento del presidente, con partiti identitari di carattere europeo, con una proposta di unità politica ed economica dell’Europa non più schiava del folle rigore che scambia gli investimenti per spese e con banche al servizio delle imprese, con tasse ridotte sulle imprese e sul lavoro. Con gli Stati uniti d’Europa, del quale Turati parlò per primo nel 1929, non solo con la moneta unica d’Europa, e con una classe politica certo giovane ma anche nuova nel modo di fare politica, non schiava dell’umore popolare e dei sondaggi. Una classe politica che sappia togliersi le ragnatele, la ruggine, e anche scontare finalmente quella condanna senza scampo che alla politica ha decretato la gente comune. Noi non sogniamo un impossibile, ritorno al passato. Ma l’avvio di una nuova repubblica, chiamiamola terza, che si sposi con i nostri interessi nazionali.
Poi c’è un secondo versante che riguarda la libertà. Noi non possiamo delegare la libertà a un popolo che si è affidato a un partito senza libertà. Nè possiamo accettare una sinistra che si è dimenticata delle libertà perché le considera di destra. In questo ventennio ha sostenuto e orientato lo scontro politico un duplice conflitto d’interesse. Quello di Berlusconi che ha mischiato politica e informazione, quello dei magistrati che hanno mischiato politica e giustizia. due conflitti d’interesse noi possiamo combatterli, siamo gli unici, assieme ai compagni radicali, che li possono combattere entrambi. Questo duplice conflitto d’interesse ha giustificato questo bipolarismo. Con una destra che ha visto solo il conflitto della magistratura e con una sinistra che ha visto solo quello di Berlusconi. Per di più quando hanno reciprocamente governato non hanno saputo e voluto risolvere il conflitto opposto. Quando ha governato il centro-destra non è stata varata alcuna riforma organica della giustizia, quando ha governato il centro-sinistra non si è partorita alcuna legge sul conflitto d’interesse d Berlusconi, come se il bipolarismo italiano vivesse di questa duplice illegalità, e da questa sola traesse la sua legittimazione.
Noi invitiamo il Pd ad aderire ai referendum radicali sulla giustizia, a smetterla di tentennare, di pasticciare, di traccheggiare. Sono referendum di libertà. Perché finalmente i magistrati, come noi per primi proponemmo nel 1987, vengano sottoposti al principio di responsabilità, perché la si finisca con l’applicazione illegale della carcerazione preventiva, perché l’Italia non resti l’unico paese ove non esiste la separazione delle carriere dei magistrati inquirenti e giudicanti. L’unico precedente, ce lo ha ricordato Angelo Panebianco, è stato il Portogallo di Salazar. Un’Italia dunque salazariana in tema di giustizia e per di più richiamata e sanzionata piu volte dall’Europa. Il complesso di Berlusconi non può essere l’eterno alibi per rifiutarsi di guardare in faccia la verità. E per non combattere battaglie di garanzia per tutti i cittadini.
Noi dobbiamo ringraziare Enrico Buemi per le posizioni assunte sulla vicenda della decadenza di Berlusconi al Senato, sulla questione del voto segreto e anche sulla legge attorno ai presunti reati di negazionismo. I principi della tolleranza e del rispetto delle leggi e delle normative deve essere applicato anche a fronte degli avversari e delle teorie più ingiustificate e assurde. E così sul caso Cancellieri il partito, e in primis Riccardo Nencini, ha fatto bene ad esprimere una posizione contraria alle dimissioni. Sfidando le ire dei dimissionisti di professione, del giornale delle Procure “Il fatto quotidiano” (caso Tortora) e di Marco Travaglio, dal cui volto non traspare mai un minino cenno di umanità, di pietà, di tolleranza. Ma solo un sorriso acido e compiaciuto. E basta, compagni amici, del Pd con quella continuo ritornello che le sentenze non si giudicano, non si commentano. Pensate se avessimo fatto tutti così con Enzo Tortora. Riprendete la parola, esponetevi con noi in battaglie di libertà.
I tre candidati alla guida del Pd hanno svolto parte delle primarie sulla decadenza della Cancelleiri. Luigi Manconi ha dichiarato che la posizione dei dimissionisti rappresenta una deriva della sinistra, l’azzeramento di diritti e valori, l’assecondamento alle pulsioni piu basse, all’urlo feroce”. Ci ha pensato Letta a dimostrare ai gruppi parlamentari del Pd che due più due fa quattro. Era molto complicato prevedere che un voto contrario a un ministro del suo governo era un voto contro il suo governo? Evidentemente era molto difficile. Così hanno scoperto l’uovo di Colombo o uovo di Letta e cioè che un partito di maggioranza non può votare una sfiducia a un ministro di un governo di cui fa parte. Sembra di essere su Marte.
I dimissionisti di professione hanno accusato il ministro di aver telefonato troppo, naturalmente senza porsi il problema dei motivi per i quali alcune telefonate siano state intercettate e diffuse sulla stampa. Gli stessi ritengono che il ministro avrebbe dovuto staccare il telefono, punto e basta. Oppure comprare tanti gettoni quanti sono i carcerati e telefonare a tutti. Secondo altri, prevalentemente renziani, avrebbe dovuto fare un sondaggio e chiedere a quanto ammontava il consenso alla segreteria del Pd se il candidato avesse risposto in un senso o in un altro. Poi anche verificare se per caso il ministro avesse votato Renzi alle primarie e anche nel caso fosse stato raggiunto da avviso di garanzia assolverlo e invece condannarlo nel caso avesse per Cuperlo. Secondo altri ancora, prevalentemente del Pdl, avrebbe dovuto chiamare un consigliere regionale, affidarle la delicata e spinosa questione, d’altronde anche la persona in oggetto era una nipote, ma di Ligresti, e poi chiamare personalmente la guardia carceraria. Così l’equazione con Berlusconi era completa.
Il giornale delle Procure Il Fatto quotidiano ha anche chiesto le dimissioni di Nichi Vendola, per via di una risata telefonica, forse non di gusto eccellente, ma pur sempre una risata. Possibile che costoro siano così presi dal loro furore come se fossero novelli soldati della Santa Inquisizione? Penso però che Vendola debba applicare le sue licenze telefoniche ingiustamente registrate e illegittimamente fatte pubblicare sui giornali, non solo a se stesso ma anche agli altri. Come facciamo noi che siamo tanto, forse anche troppo, discreti, ma difendiamo anche chi non lo è.
Un terzo versante è ancora rappresentato dalla laicità, dalla concezione dello stato che non può mai essere etico, fautore di principi non condivisi e imposti ad altri. Questo vale ancora per la questione riferita al fine vita ed un sincero, imperituro affetto noi dobbiamo esprimere ancora al nostro compagno Beppino Englaro per la sua battaglia che non è stata vinta, sulle leggi che riguardano le coppie di fatto, la fecondazione assistita, ma anche il principio dello ius soli, a fronte dei drammi della popolazione immigrata, delle continue Lampeduse che torturano le nostre coscienze, richiamate come vergogna da Papa Bergoglio. Basta con timidezze e assurde mediazioni. Su queste materie, sulla libertà, i diritti, la laicità noi incontriamo sulla nostra strada ancora i compagni radicali, i vecchi compagni di sempre coi quali non possiamo evitare di confrontarci e di accordarci perché in fondo rappresentano una parte della nostra storia. E chi vede in questo una contraddizione con la strategia di realizzare una forza italiana del socialismo europeo, abdica alla nostra diversità di socialisti italiani, alla nostra storia di socialisti riformisti e liberali. Non ci potranno annullare nel socialismo europeo, perché noi siamo quel che siamo stati e quel che vogliamo continuare ad essere oggi. Socialisti in Italia, con la nostra storia, le nostre convinzioni, il nostro ineludibile aggancio del socialismo con le libertà.
Una quarta diversità, diciamo cosi di comportamento, riguarda la coerenza con la cultura del riformismo. Che è anche capacità di remare contro corrente, di sfidare spesso l’umore popolare. La politica riformista non la si fa con i sondaggi, ma con le idee, che possono trasformare i risultati dei sondaggi. Penso che nessuno dei leader di oggi avrebbe avuto il coraggio di sfidare e poi riformare i sondaggi ai tempi del taglio della scala mobile. Glielo avrebbero sconsigliato i Mannaheimer di turno. Oggi pare che il Pd sia ancora schiavo di questa cultura da piacioni, un po berlusconiana e un po cattocomuista.
Oggi è tempo di coraggio. Lo è per il governo, l’unico governo possibile, altro che inseguire i grillini per un governo non del cambiamento ma del deragliamento, caro Bersani. E mi fanno ridere quei compagni che mi criticano perché sull’Avanti sostengo Letta e Napolitano. Sono com Martin Schulz che nella conferenza recentemente promossa dall’associazione di Pia Locatelli manifesta stima e consenso proprio a Letta e Napolitano. È nel momento in cui il governo delle larghe intese si trasforma nel governo delle piccole intese, con uno spostamento a sinistra del suo asse e con noi che rischiamo di diventare determinanti, che propongono le mozioni due e tre, di staccare la spina e di passare all’opposizione? Io penso invece che dobbiamo pretendere mai come adesso di entrare al governo e con una posizione non marginale.
Si aprono spazi di iniziativa intorno a noi, nel Pd si annuncia una singolare nemesi. Gli ex comunisti che non hanno voluto diventare socialisti nel 1989 oggi sono estromessi degli ex democristiani. Sembra la profezia di Ulrica nel Ballo in maschera di Verdi. Ti uciderà il primo che ti darà la mano. Mai fidarsi delle mani dei democristiani. Lo diceva anche Gaber. Dall’altra parte si è consumata una divisione del partito che fu di Berlusconi e che rende possibile un governo al Paese con una maggioranza più esile, ma politicamente più compatta. Al centro si consuma nell’ira la divisone tra montiani e popolari, mentre nella Lega si prendono a schiaffi Bossi e Maroni. I grillini sono perennemente in preda al furore di un Grillo parlante, urlante, delirante, che espelle chi dissente, ispirato da una specie di Fantasma del lago di nome Casaleggio. C’è un terremoto politico segnalato alto nella Scala Mercalli. E noi che facciamo. Rispondiamo con Lucio Battisti. “Tu chiamale se vuoi tre mozioni”. Avremmo potuto presentarci diversamente, magari con una nostra lista alle elezioni? Forse si, l’avevo anche suggerito. Ma non è che coloro che invece fino all’ultimo hanno accettato di inserire candidature nelle liste del Pd e non hanno trovato la propria, oggi possono scoprirsi improvvisamente autonomisti. Vabbè.
Oggi serve una ricomposizione per andare avanti insieme. Questo è possibile e necessario. Votiamo tutti insieme Riccardo Nencini segretario del partito perché se lo merita.
Siamo tornati in Parlamento. I nostri sette, magnifici o non magnifici, fanno il loro dovere. Ecco vorrei si trasformassero in quei cavalieri coraggiosi del film. E ne assumessero un po il tratto spregiudicato. Senza naturalmente augurarmi che succeda a loro quel che succede ai sette nel film, perché alla fine quattro vengono uccisi e ne rimangono solo tre. Abbiamo bisogno di iniziative parlamentari che segnino la nostra originalità. Senza lamentarci dei mezzi pubblici che non ci considerano. Se abbiamo idee originali, idee solo nostre, ci considereranno.
Ad esempio la vogliamo far finita con sta storia dei cosiddetti pentiti che tengono ancora banco anche dopo la tragedia di Enzo Tortora? E denunciare per calunnia quel tale che ha accusato Craxi di aver fatto ucidere Dalla Chiesa che era suo amico e la figlia nostra compagna e componente la nostra assemblea nazionale? E Martelli d’esser stato nominato ministro dalla mafia, lui che ha fatto le leggi più dure e risolutive contro la mafia? E chiedere le dimissioni del presidente dell’Inps Mastrapasqua, che occupa ventidue poltrone e intasca 1 milione e 200 mila euro e lancia l’allarme che non fa dormire i pensionati e poi si smentisce, ma non sente il dovere di lasciare una quindicina di incarichi e di dimezzare il suo stipendio. E chiedere conto a questo ventennio per la svendita dei nostri beni di famiglia, della nostra industria pubblica all’estero come se fossimo ai saldi di fine stagione. E perché nessuno se non noi con l’Avanti ci siamo accorti di questa inchiesta giudiziaria sulla Rai che si serviva dello stesso agente di Berlusconi per sovrafatturare i prodotti cinematografici comprati in America? Perché questo assordante, complice silenzio?
Noi non usiamo il dentifricio clorodont, caro D’Alema, ma possiamo dire quel che vogliamo. Facciamolo sempre e ognuno faccia nella nostra comunità il suo dovere. Io sto tentando di farlo all’Avanti, una testata storica che ho l’onore di dirigere. Ognuno lo faccia dalla propria postazione. E porti il suo granello di sabbia. Che dobbiamo tirare adosso agli altri e non a noi stessi, come troppo spesso facciamo. E lo dico al popolo socialista di Facebook che scrive spesso solo per parlar male di se stesso, in un misto di autocommiserazione, masochismo e di frustrazione da inesistenza del PSI. Noi non possiamo rifare il Psi come l’abbiamo conosciuto. Vent’anni non sono bastati per farlo capire? Ma possiamo, dobbiamo rendere questo nostro drappello di donne e uomini appassionati a una storia, a un’identità, a una politica, un movimento politico attivo, combattivo, coraggioso. Che sa essere, che vuole esserci. Capace di allearsi con altri, ma di rimanere se stesso e di non avere troppa preoccupazione di perdere qualche poltrona quando si afferma la nostra identità. È molto piu facile perdere le poltrone quando non si serve a nulla. Ecco tutto questo noi possiamo fare, tutto questo dobbiamo fare, questo dipende solo da noi. Dalla nostra intelligenza, dalla nostra creatività, e anche dalla nostra unità.
Leave your response!