Il Corriere e le accuse a Craxi
Nel Corriere di oggi figura un dato falso. Anzi. Per la verità ce ne sono due. Il primo riguarda quello sul debito pubblico in rapporto al Pil del 1992, che era salito sì al 105 per cento, ma era molto inferiore, di circa trenta punti, rispetto all’attuale. Il secondo riguarda le responsabilità del governo Craxi che, come tutti sanno, uscì di scena non nel 1992, ma nel 1987. In quell’anno il rapporto tra debito e Pil era all’89,11 per cento, dunque a poco più della metà dell’attuale, con un prodotto interno lordo che oscillava tra l’uno e mezzo e il tre e mezzo per cento. È vero che fino all’esplosione dell’inflazione, e cioè attorno al 1973, lo sviluppo italiano era superiore e si avvicinava addirittura al 10 per cento, paragonabile a quello della Cina dei nostri tempi, ma i governi degli anni settanta e ottanta hanno dovuto affrontare inflazione e terrorismo. Due questioni che minacciavano la tenuta democratica del paese.
La doppia battaglia comportava una politica adeguata. Smantellare lo stato sociale per comprimere la spesa poteva offrire notevoli motivazioni a una giovane generazione che, dopo il sessantotto, era parzialmente avvinta da molti miti violenti. La lotta all’inflazione comportava anche una modifica degli assetti strutturali degli stipendi e delle pensioni. Che in molti non si sentirono di fare proprio fino all’avvento del governo Craxi, con l’emanazione del decreto di San Valentino e il cosiddetto patto anti inflazione. Ricordiamo che il terrorismo è attivo in Italia dal primo delitto rivendicato dalla brigate rosse, quello di Padova del 1974, fino a quello di Tarantelli del 1985, cui seguono quelli di Conti, Giorgieri e Ruffilli, quest’ultimo nel 1988. Diciamo che si spara per tutti gli anni ottanta. Poi, con le tragiche eccezioni delle nuove bierre che hanno colpito fino a Marco Biagi, il terrorismo in Italia è stato finalmente domato.
E così pure l’inflazione, che sembrava invincibile. E che si configurava come un’insopportabile tassa sui redditi fissi. Siamo passati dal 18 per cento del 1975 al 4 per cento del 1987, e poi ancora un calo fino alla fine degli anni ottanta. Questo per una positiva congiuntura internazionale, ma anche per scelte tutt’altro che semplici dei nostri governi, in particolare di quello di Craxi, che costò un referendum comunista vinto dal suo governo. Poi ci sono i dati, quelli veri e incontestabili. Prendiamo il prodotto interno lordo. Negli anni ottanta è cresciuto complessivamente del 26,9 per cento. Negli anni novanta è sceso al 17, nei primi dieci anni del duemila a solo il 2,5 per cento, mentre negli ultimi tre anni l’Italia è caduta in recessione. Anche questo dato va attributo a Craxi? Se il debito, all’89 per cento del Pil nel 1987, alla fine del suo governo, era poco piu della metà dell’attuale, che si aggira sul 133, il prodotto interno lordo, che negli anni ottanta era al più 26,9 oggi è al meno 0,4. È assurdo non considerare i contesti generali, è vero. Ma quando si vogliono lanciare accuse, come quelle del Corriere, sulle responsabilità del passato, ci sono buoni margini di risposta. Com’è facile verificare consultando i dati.
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