Regge il BR. Che fare come Psi?
Regge il Patto del Nazareno. Anzi, per restare al tema evangelico, risorge. Letteralmente c’è una sorta di accordo-disaccordo. Cioè un’intesa a metà. Sulle quattro novità c’è convergenza su due: soglia per il premio di maggioranza al 40% e introduzione delle preferenze, coi cento capilista che restano bloccati. Sulle altre due l’accordo pare non ci sia. Parliamo del premio alla lista, e non alla coalizione, e dello sbarramento al 3%. Alla fine tuttavia si è stilato un documento in cui i due annunciano che l’accordo tiene e insieme, cioè con spirito unitario, danno notizia anche delle divergenze rimaste. Il che mi ricorda una riunione in un comune della mia provincia, dove i socialisti ruppero l’alleanza con il Pci. Il dirigente comunista era talmente unitario che ci pregò di stilare un documento unitario anche sulla rottura. Altri tempi.
Resta il fatto che l’enfasi con la quale si manifestano unitariamente anche le diversità fa presumere che in questa situazione Berlusconi non intenda minimamente distaccarsi da Renzi. E questo per almeno tre motivi. Il principale è quello di non mettere in discussione il suo ruolo politico e imprenditoriale. Non a caso dai vertici Fininvest tutti lo incitano all’accordo sia dentro Forza Italia, sia con Renzi. Poi c’è questa tacita intesa a individuare insieme il nuovo presidente della Repubblica. Magari votandolo solo alla quarta seduta e non alla prima, quando sarà sufficiente la maggioranza semplice. Quindi non ripetendo l’errore, uno dei tanti, di Bersani, quando concordò di votare Marini alla prima votazione. Poi c’è un punto non secondario. E cioè che era già pronto il commensale alternativo a Berlusconi, quel Grillo che vede bene sia il premio alla lista, sia le preferenze.
Se Berlusconi avesse rotto con Renzi avrebbe dato ragione ai suoi oppositori interni, e soprattutto a Raffaele Fitto che di rompere con Renzi non vedeva l’ora. Berlusconi sa benissimo che questa legge, soprattutto il premio alla lista, gli toglie ogni speranza di vittoria. Tuttavia lo preserva come possibile alternativa, lo tiene in vita, gli affida un ruolo. Aiuta Renzi a reggere sul fronte interno dall’attacco dei suoi oppositori che sono assai più antiberlusconiani di lui. Alfano naturalmente canta vittoria. È in sala parto proprio l’Alfanellum, il salva Alfano. Un pasticcio che é meno indigeribile dell’Italicum, ma che lascia molti punti interrogativi. Il primo riguarda la sua approvazione così com’è. Potrebbe alla fine bastare al Senato il voto compatto della maggioranza di governo sui due punti ancora controversi. Anche senza quello di Berlusconi. Ma sarà compatto il Pd? Sarebbe un miracolo. L’unità sta al Pd come la laicità a Giovanardi. Già ieri i dissidenti pidini hanno dichiarato guerra sulla clausola di salvaguardia dei cento nominati.
Poi esiste un secondo problema. E cioè l’intreccio tra riforma elettorale e riforma costituzionale del Senato. Con l’Alfanellum si ripartirà dal Senato, ma col testo dell’Italicum che verrà riempito di emendamenti che finiranno per stravolgerlo. La legge tornerà poi alla Camera per essere approvata definitivamente. A quel punto dovrà per forza ripartire dalla Camera la girandola della legge costituzionale del Senato. Fino a quando non sarà definitivamente approvata quest’ultima, tornando ancora al Senato per poi finire alla Camera, ed eventualmente a referendum confermativo, la legge elettorale che riguarda solo la Camera è inutilizzabile. Se si decidesse di votare dopo la semplice approvazione dell’ex Italicum e oggi Alfanellum, si dovrebbe votare anche per il Senato, ma col Consultellum, che introdurrebbe evidenti problemi di governabilità. È evidente che fino a quando la legge sul Senato non sarà approvata non si potrà andare al voto. In mezzo, con ogni probabilità, ci saranno le elezioni presidenziali. E il patto BR potrebbe rafforzarsi ulteriormente.
Se poi il testo con lo sbarramento al 3% e la preferenze, con l’esclusione dei capilista, divenisse legge, si aprirebbe un problema per la nostra piccola comunità. Dovremo seriamente riflettere sul che fare. Facciamo due conti. Se reggesse l’accordo col Pd, noi quanti ne potremmo garantire nella quota bloccata? Credo uno solo, su cento. Poi certo potremmo lottare per prevalere con le preferenze qua e là. Ma come Davide con Golia. L’alternativa potrebbe essere quella di puntare a comporre, assieme ad altri, una lista che abbia qualche possibilità di superare la quota di sbarramento. Non certo da soli. Si potrebbe rispolverare il vecchio progetto della Rosa nel pugno, assieme ai radicali, ma vedo che nel partito solo chi scrive e, in una prima fase, lo stesso Nencini, l’hanno prospettata dopo le elezioni, ma nell’indifferenza, anzi nell’ostracismo, generale. Probabilmente qualcuno ipotizzerà un accordo con Sel, che mi pare francamente difficile sul piano dei contenuti. Ad ogni modo, visto che non si voterà domani, abbiamo tutto il tempo per riflettere, sapendo che il problema esiste. Eccome se esiste.
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