Complesso di colpa
Massimo Fini su Il fatto quotidiano, che oggi esce con Charlie Ebdo, ritiene che sia tutta colpa nostra e che abbia ragione Amedy Coulibaly a giustificare il terrorismo come la naturale risposta ai nostri bombardamenti. È una posizione che ho notato esistente anche in altri commentatori e settori politici. Dunque l’Occidente non avrebbe dovuto intervenire in Kuwait dopo l’invasione irachena, sulla base di una decisione assunta dall’Onu, non avrebbe dovuto attaccare i talebani dopo l’11 settembre, nonostante il mandato Onu, non avrebbe dovuto intervenire poi in Iraq, e questo ci può stare, ma neanche a sostegno delle primavere arabe, magari appoggiando i dittatori, e adesso dovrebbe stare ferma e zitta mentre l’Isis massacra yazidi, sciiti e curdi da Mosul a Kobane. Una posizione davvero singolare. Come se queste sette che si nutrono del sangue dei civili, che sparano alla testa dei bambini di famiglia mussulmana a Peshawar, che riempiono di esplosivi tre bambine in Nigeria e che mandano un ragazzino, che sembrava un nostro figlio, con tanto di chioma a caschetto e magari innamorato anche lui di Spider man, a sparare in testa a due prigionieri, altro non fossero che falangi di difesa di un territorio invaso da cupi imperialisti occidentali.
Possiamo anche far finta di non capire o illuderci che basti tirarci fuori da qualsiasi conflitto per vedere estinta questa offensiva di stampo religioso. Possiamo fare come in Algeria e voltarci da un’altra parte lasciando massacrare duecentomila indifesi cittadini in nome di Allah. Possiamo anche lasciare annientare i peshemerga, gli yazidi, gli sciiti iracheni, lasciare che le loro donne vengano prese prigioniere, sfruttate e vendute, che i giornalisti occidentali e i piloti arabi vengano decapitati. Sentendoci magari in pace con la nostra coscienza non interventista. In fondo si tratta pur sempre di rispettare culture e tradizioni diverse, no? Possiamo anche favorire il ritorno dei talebani, resuscitare Saddam e Gheddafi (questo è particolarmente problematico), rimettere al loro posto Ben Ali e Mubarak. E ritirarci a scrutare un avvenire migliore.
Questo non significa che tutto quel che è stato fatto dall’Occidente, quasi sempre in accordo con una parte di paesi arabi, sia stato giusto e opportuno. Non lo è stata la guerra unilaterale all’Iraq sulla base della presenza di inesistenti armi di distruzione di massa, non lo è stata la decisione della Francia di bombardare la Libia, ma forse non lo sono stati neppure i mancati interventi in Siria e prima ancora in Algeria, a sostegno di una popolazione martoriata dal terrorismo islamico e non lo è la nostra indifferenza nei confronti del massacro di Boko Haran in Nigeria. Forse non lo è neppure l’incertezza con la quale stiamo combattendo contro lo stato terroristico dell’Isis. I nostri intellettuali radical chic, se ci rifugiassimo nelle nostre pigre indifferenze, si sentirebbero più in pace con la loro coscienza di occidentali pentiti, incapaci di cogliere che, con tutti i suoi difetti, la nostra civiltà, coi suoi valori di libertà e di laicità non sempre perfetti, è pur sempre migliore non solo del terrorismo islamico, ma anche delle teocrazie e delle dittature. Che questa è una guerra anche di civiltà contro l’inciviltà dell’orrore che ci riporta secoli addietro. Possiamo anche far finta di non capire e di trovare in noi stessi la responsabilità di tanto orrendo crimine che ci sarebbe rispedito, con qualche interesse aggiuntivo, a casa. E finire davvero per diventare anche noi come qualcuno ci dipinge. Ho ascoltato con viva preoccupazione l’intervista televisiva a qualche mussulmano che usciva da una moschea dì Milano. Uno di questi approvava la strage di Charlie Ebdo, senza mezzi termini. Si doveva rispondere col sangue e la morte a chi aveva offeso il suo profeta. Una donna cercava di correggerlo in arabo quasi per non farsi capire e lui di rimando in italiano: “Taci tu che sei una donna…”. Questo a Milano, in pieno Occidente.
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