Ai compagni del Risorgimento per un confronto serio
Siccome un corsivo dell’Avanti su locchiodelbue, mia rubrica ironica con titolo autoironico, dedicato al convegno dei socialisti che anelano il Risorgimento, e chi mai preferirebbe il suo contrario e cioè la decadenza, ha suscitato critiche a mio avviso immotivate, divenendo così uno dei pezzi più letti e commentati dell’Avanti, passo alla parte seria. Il corsivo bisognerebbe sempre leggerlo col sorriso sulle labbra concedendogli quelle licenze che non si è mai in condizione di concedere agli articoli del “politicamente corretto”. Vedo che i nostri si prendono tutti maledettamente sul serio e dunque, come disse Turati al Congresso di Bologna del 1919, vi parlerò anch’io “come un notaro che legga un testamento”. Vorrei fornirvi dunque, serissimamente, questi spunti per una discussione.
Primo: il convegno che ha associato le minoranze del piccolo Psi (sette parlamentari, una vita travagliata, uno spazio politico complicato dal momento che Renzi è diventato dominus del Pd, alcune testate e associazioni vive e vegete) segna un distacco o meno dal partito di appartenenza? Accettano quei compagni e amici che le decisioni sulla politica del partito le prendano gli organi eletti al congresso, oppure si dotano di una loro autonomia organizzativa e politica? Personalmente sarei interessato a un chiarimento non burocratico. Secondo: i socialisti che hanno promosso il convegno, li posso chiamare, senza che si ritengano offesi, “socialisti risorgimentali”, per l’amor del cielo, li conosco quasi tutti e so che la maggior parte di loro è motivata da sincero sforzo di rilancio del socialismo italiano, vogliono una collocazione del Psi più a sinistra dell’attuale? Ritengono dunque che il Psi debba dialogare e magari associarsi alla possibile nascita di un nuovo soggetto di stampo vendolian-landiniano, alla sinistra del Pd?
Infine, terzo punto, quale diversa identità essi oggi portano al confronto con gli altri socialisti? Non è fuori tempo e fuori storia, quello slogan lanciato del “O socialismo o barbarie”, di stampo rivoluzionario e luxemburghiano, che ho già contestato? Quando mai un socialista riformista definisce barbarie ciò che non è attribuibile a lui? Quando mai un socialista liberale ritiene che altre vie siano da considerare barbare. Questa idea assolutista del socialismo portava infatti a un scontro anche armato con la barbarie. Non a caso venne coniato in Germania all’epoca della guerra civile. Non penso sia questa la via proposta oggi dai nostri convegnisti. Emerge però qui una confusione di principi e di linguaggi che si rifugiano dietro la magica espressione della parola “socialista”, che se non viene precisata (per me è sempre indispensabile aggiungervi gli aggettivi democratica, riformista e liberale), inevitabilmente scivola in una sorta di nuovo-vecchio integralismo. Siccome si vuole fare risorgere il socialismo senza aggettivi quale il predestinato? Quello liberalsocialista degli anni ottanta, quello filocomunista degli anni cinquanta, quello bolscevico degli anni venti? E se guardiamo l’Europa recente, quello di Blair e di Schroeder o quello della Linke tedesca che il mio amico Franco Bartolomei spessa evoca. Sarà l’età ma ormai non sopporto più i pressappochismi. E a forza di dialogare sul socialismo coi socialisti non vorrei diventare io solo un aggettivo…
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