Il socialismo: una parola, tante storie
Mi è capitato, a volte, di non essere in piena sintonia con la segreteria, a volte coi nostri gruppi parlamentari. D’altronde scrivo quel che penso in assoluta libertà. E nessuno ha mai tentato di imbavagliarmi, perché un minuto dopo avrei dato le dimissioni da direttore di questa gloriosa testata. Se ho scritto un corsivo su un’assemblea del Risorgimento socialista è perché sono rimasto impressionato da due aspetti di quella riunione. Il primo era l’idea, difficile da oscurare, che si stesse preparando la nascita di un’altro micro partito, uno dei tanti della diaspora di questi vent’anni, che sono stati una, non la sola, delle cause del nostro mancato risorgimento. La seconda era il continuo accenno al socialismo generico, condensato addirittura in uno slogan rivoluzionario: “Socialismo o barbarie”.
Mi sono chiesto in che partito sono. Davvero ci sono socialisti che si ispirano al socialismo rivoluzionario di Rosa Luxemburg o altri che ritengono che quella del socialismo sia una storia unica e compatibile? Lasciatemi un sintetico excursus storico. Il socialismo italiano nasce come patriottico, utopistico (la definizione è di Marx-Engels riferita a Prodhon, Saint Simon, Fourier) e romantico (Prampolini scrisse che quando divenne socialista non aveva letto un rigo di Marx). Il marxismo attecchì molti anni dopo su iniziativa di Antonio Labriola a cui i socialisti non diedero mai retta. Fu prima anche anarchico e bakuniniano, ma dopo la svolta di Andrea Costa divenne prevalentemente riformista anche prima della fondazione del partito che avvenne nel 1892, con le cooperative, le leghe, le case del popolo, i giornali, che si diffondevano soprattuto al nord. Una rete che precedette e anticipò dunque il partito.
Tale rimase fino all’avvento del sindacalismo rivoluzionario, che attecchì partendo dalle suggestioni del filosofo francese Sorel con Arturo Labriola, il dirigente che riuscì a mettere in minoranza Turati dal 1904 al 1906, grazie all’intesa cogli integralisti di Ferri e Morgari. Divenne poi massimalista e rivoluzionario, dopo l’impresa di Libia e la crisi del giolittismo, tanto che al congresso del 1912 il leader del socialismo rivoluzionario Benito Mussolini cacciò i cosiddetti riformisti di destra che fondarono il Psri. Nel primo dopoguerra, mentre larga parte di socialisti rivoluzionari e sindacalisti, capeggiati dal futuro duce, fondarono i primi fasci di combattimento, il Psi divenne sostanzialmente comunista aderendo all’Internazionale di Mosca col congresso del 1919.
Nel 1921 però i comunisti cosiddetti puri lasciarono il PSI perché quelli unitari non avevano espulso i riformisti, cosa che avvenne invece l’anno dopo e Turati, Treves, Matteotti e Prampolini fondarono il Psu. Nel 1930 a Parigi si riunificarono socialisti di Turati e socialisti di Nenni, che aveva messo in minoranza Serrati nel Psi perché quest’ultimo voleva sciogliere il partito e andare nel Pci, cosa che fece lui solo con un gruppo di terzinternazionalisti, mentre Carlo Rosselli scriveva il suo “Socialismo liberale” fondando poi Giustizia e libertà. Esplosero nel secondo dopoguerra i conflitti tra socialisti democratici e socialisti filo comunisti, che sfociarono nella formazione dei due partiti nel gennaio del 1947 (Psli, nel 1952 divenuto Psdi, e Psi). Poi la storia che abbiamo in parte vissuto e che non vale la pena ricordare.
Noi chi siamo? Gli interpreti di quale socialismo? Siamo ancora qui per cosa? Dal congresso di Palermo il Psi ha scelto con chiarezza il riformismo e dagli anni ottanta il liberal socialismo. Turati e Rosselli, il Nenni autonomista, Craxi e il Martelli di Rimini sono i nostri punti di riferimento. Certo il nostro socialismo riformista e liberale ha bisogno di essere aggiornato, modernizzato, adeguato ai tempi. Ma questo processo non può farci deragliare e finire ancora più indietro. Verso approdi che noi abbiamo contestato da giovani e figurarsi se possiamo accettare da anziani. Il landinismo verso il quale inevitabilmente approderà chi si vuole decisamente distaccare dal PD, che a me non piace, ma che preferisco, cos’altro è se non una nuova forma di massimalismo verbale e di neo conservatorismo?
No. Noi non siamo gli interpreti di tutta la storia socialista. Che peraltro è all’origine di conflitti aspri combattuti da parti apposte della barricata. Noi siano interpreti dell’unica forma di socialismo ancora attuale e non sconfitta dalla storia, quella riformista e liberale. Lo vorrei ricordare con questo lungo articolo a chi o non se lo ricorda o fa finta di esserselo dimenticato o non ha capito bene.
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