L’Italicum e noi
Le mie critiche all’impostazione della nuova legge elettorale sono note, almeno nella nostra piccola comunità. Sono stato, con Mucciolo, fautore di un documento approvato dal Consiglio nazionale, in cui si chiedeva ai nostri senatori di non votare la legge. È vero che, rispetto alla prima stesura, quella sottoposta a dure critiche nel testo approvato praticamente all’unanimità dal Consiglio, la nuova legge è stata sottoposta a emendamenti anche sostanziali, quali l’abbassamento dello sbarramento elettorale per il conseguimento di seggi, l’innalzamento al 40 per cento della soglia per conquistare il premio di maggioranza al primo turno, l’introduzione delle preferenze coi soli capilista bloccati.
Restano però le critiche sul taglio generale della legge. La prima è quella che viene presentata come un vanto dal premier come se le elezioni fossero il Giro d’Italia, con un vincitore per forza, che in un sistema parlamentare significa promuovere una lista che ottenga la maggioranza assoluta al primo o al secondo turno. Dove sta scritto che gli elettori debbano decretare un vincitore? In Inghilterra, col più secco dei maggioritari, non è scaturito alcun vincitore alle ultime elezioni tanto che conservatori e liberali hanno dovuto comporre un’alleanza per governare. In Francia è accaduto diverse volte che nessun partito abbia ottenuto la maggioranza assoluta, nonostante il sistema maggioritario a due turni di collegio. Perfino in Grecia Tsipras ha dovuto implorare una singolare alleanza con un micro partito di destra. Le elezioni per il Parlamento devono fotografare le tendenze elettorali e non eleggere un governo.
Noi decretiamo per legge un vincitore, poi lo adorniamo di corona d’alloro, con medaglia d’oro olimpica. Anche in Francia vince uno solo. Ma alle presidenziali. E da qui discende la seconda conseguente obiezione. Noi usiamo una legge elettorale che dovrebbe servire per eleggere la Camera dei deputati come se si dovesse procedere all’elezione del presidente. Siamo però una Repubblica parlamentare e anziché procedere alla sua opportuna trasformazione in presidenziale usiamo la legge elettorale, anziché la riforma costituzionale, per renderla tale “de facto”. Non da oggi, per la verità. Quante volte abbiamo sentito sbraitare che Monti, Letta e Renzi non sono stati eletti? Ma quando mai un presidente del Consiglio lo è stato in Italia?
Le due obiezioni di fondo, che penso possano essere risolte solo da un referendum popolare sulla forma di Stato e poi dall’elezione di un’Assemblea costituente, si accrescono di alcune obiezioni particolari. Prendiamo la questione dei capilista bloccati. Chi sono mai costoro? Dei candidati che appartengono all’aristocrazia politica, contrapposti ai più popolari che saranno sottoposti al vaglio della scelta degli elettori. Con un piccolo particolare. Se i collegi saranno un centinaio, solo il Pd, e poco altro, sarà oggetto di questa suddivisione tra tutelati e non. Gli altri saranno quasi tutti impermeabilizzati dal loro ruolo di capilista nominati. Si dice: “È’ tutto vero, ma è meglio questa riforma di niente”. Lo stesso Paolo Mieli ieri sera si è schierato col vecchio detto “piuttosto che niente meglio piuttosto”. Non capisco perché. Personalmente ritengo sia meglio il Costituzionatellum. Poi un percorso che parta dalla scelta sulla forma di Stato e dalla elezione di un’Assemblea costituente. Penso che sia meglio niente di un passo falso. Meglio niente che peggio. E naturalmente mi auguro, lo dirò domani alla segreteria, che i socialisti sostengano questa posizione anche alla Camera.
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