Hic rodhus hic saltus
È evidente che le sorti del governo Renzi e delle riforme istituzionali e costituzionali si giochino in un solo partito: il Pd. Questo partito non è il solo, ma il Pd è l’una forza politica tuttora in piedi. Salvini è un protagonista politico, ma è pur sempre un uomo. Si presenta al centro sud col suo nome e magari la sua felpa. Grillo è un’infatuazione, forse in regresso, ma costituisce un grido di dolore e di protesta. Il suo Cinque stelle appare ormai come un hotel dove transitano ed escono continuamente clienti. Che dire di Berlusconi, il primo che ha inventato il non partito, fondato solo sul carisma del leader, anzi del padrone? Oggi Forza Italia è senza padrone e senza partito. Una tragedia.
Il Pd è però una forma anomala di partito. È più uno spazio, come dice Bersani. Una ditta, magari una società per azioni. È un contenitore di diverse e opposte tendenze in perenne lotta tra loro. Un partito delle differenze, ormai anche senza regole, dal quale pare vietato non già l’ingresso ma l’uscita. Un partito carcere. È la prima volta che si può tranquillamente pensare di votare in modi difformi in Parlamento senza rompere il tessuto connettivo del partito. Non su cose marginali, ma su questioni di fondo, come sono le riforme istituzionali e costituzionali. È già accaduto al Senato e si annuncia, in modo ben più consistente, la stessa differenziazione alla Camera.
Renzi, dal suo punto di vista correttamente, ha dichiarato che se la riforma elettorale non passerà, porterà le sue dimissioni al Quirinale. Dunque potrebbe essere “dimesso” proprio dal voto di un parte dei suoi. Non è la prima volta, d’altronde. Anche Letta venne fatto dimettere da una parte, sia pur maggioritaria, del suo partito. E così il Pd, in questo davvero partito della nazione, non solo pare l’unico partito esistente, ma è l’unico che concentra al suo interno la maggioranza e la minoranza del paese. La minoranza del Pd ha messo in moto un meccanismo dal quale difficilmente può arretrare pena la perdita anche della faccia.
Eppure se la minoranza non perderà la faccia rischia di perdere il partito o la ditta. Bel rompicapo. È possibile, se Renzi metterà la fiducia (la fiducia su una legge elettorale è un atto gravissimo e senza precedenti), votarla e poi votare contro il contenuto della legge? Bizantinismo allo stato puro. Se la tenuta del governo dipende da quella legge dovrebbero spiegare come è possibile separare governo e legge. E poi col voto segreto, vuoi mai che un pezzo di Forza Italia non sia pronta anche alla Camera a sostituire la parte eventualmente mancante dei voti pidini, come è accaduto al Senato, dove li ha sostituti accrescendoli col voto di tutti i senatori?
Attenzione però. La vera partita pare giocarsi su più tavoli. O meglio su più riforme. Se la minoranza del Pd voterà la legge elettorale senza emendamenti (perché il vero rischio è tornare al Senato dove non ci sono i numeri per approvarla) allora si concederebbe di cambiare il testo della riforma costituzionale. È il gioco del prestigiatore che scambia i bussolotti. La verità è che o la minoranza del Pd dà il colpo o il colpo lo subisce. Come diceva Machiavelli “le coniurazioni fallite rafforzano lo principe e mandano nella ruina li coniurati”. Non si può scagliare la pietra contro Renzi e il suo governo parlando di attentato alla democrazia e poi o raggiungere un compromesso per rendere più dolce l’attentato o piegare il capo per salvare il governo dell’attentatore. Ancora una volta il Pd rischia di essere per la sua minoranza come quel passo di Ovidio: “Nec tecum, nec sine te vivere possum”. Il problema per costoro è che rischiano di morire “sic tecum, sic sine te”…
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