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Repubblicani contro Democratici

5 Maggio 2015 1.565 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

L’Italicum costringerà il centro-destra a una nuova fase costituente. Berlusconi lo ha già capito. E pensa di contrapporre al Partito democratico una sorta di Partito repubblicano. Tutto in stile prettamente americano. Dove il bipartitismo ormai pluricentenario è ancorato a questo schema. In America la formazione di questo sistema politico è determinato dal suo radicamento territoriale che ne ha storicamente individuato le identità. Tanto che i repubblicani al nord erano più progressisti dei democratici al sud. Ma questo poco importa.

Ciò che non si può non registrare è il fatto che si trasferirebbe così in Italia tutto il modello americano. Non esisterebbe solo l’anomalia di un partito democratico sia pur faticosamente inserito in quello socialista europeo, ma anche quella di un partito repubblicano, magari ancor più faticosamente collocato in quello popolare. L’Italia diventa sempre più americana e sempre meno europea, dove il bipartitismo, dove c’è, è imperniato sull’antitesi tra forze socialiste, socialdemocratiche, laburiste e soggetti d’ispirazione popolare o, come nella protestante Inghilterra, conservatrici.

Chi si sorprende di questo è fuori dalla realtà. Per due motivi su tutti. L’esplosione del vecchio sistema politico dopo la cosiddetta rivoluzione giudiziaria del 1992-94, che seguiva di tre anni la caduta del comunismo e la liberazione dal voto ideologico, non consente in Italia di tornare indietro. Ma anche se l’Italia volesse tornare indietro, più indietro ancora di Tangentopoli, più indietro perfino della caduta del muro, non troveremmo segni di omogeneità col sistema europeo.

In Italia, solo in Italia, non esisteva l’alternanza di partiti al governo e solo in Italia questo era assente perché nella sinistra si era sviluppato il più forte partito comunista d’Occidente. Di europeo in Italia non c’era proprio nulla. Il fattore K della sinistra italiana si è così, sempre in una logica dell’anomalia rispetto all’Europa, trasformato nel fattore D, cioè nell’unico partito democratico europeo. Il fattore B, quello dell’egemonia del leader imprenditoriale trasferito in politica, si può trasformare nel fattore R, quello della presenza dell’unico partito repubblicano europeo. L’anomalia italiana resiste così a tutte le esplosioni.

Due partiti senza passato possono al massimo consentire buoni ricordi. Da un lato Renzi continuerà ad esaltare Berlinguer e le feste dell’Unità, ma ad eliminare tutti gli ex comunisti, dall’altro Berlusconi o chi per lui, magari il nuovo Renzi repubblicano, esalterà De Gasperi e le feste dell’Amicizia, ma romperà il cordone ombelicale con la vecchia nomenclatura di Forza Italia. Nessuno dei due avrà nulla a che vedere col passato. Così il centro-destra è atteso da una nuova costituente. Che non sarà come quella del predellino. L’uomo della svolta sul fianco di un auto deve cedere il passo. Non riesco ancora a intravedere il sostituto, ma è evidente che la mossa del Partito repubblicano metterà in difficoltà la destra di Salvini. Così come sul predellino inciampò Fini, sulla nuova costituente rischia si sbilanciarsi Salvini. L’Italicum impone l’unità di lista, non di coalizione, e anche la lista di destra deve recuperare al centro.

Adesso attendo i soliti commenti dei nostri. E i socialisti? E noi, che dobbiamo fare? Come se noi fossimo l’ombelico del mondo e non un piccolo partito identitario ed europeo in un sistema non identitario e domani tutto americano. Dopo ventun’anni se ancora qualcuno non l’ha capito non si lascerà convincere da me che la mancata rinascita del Psi non è dovuta al mediocre ruolo di Boselli, o agli eventuali errori di Nencini. Quindi non insisto. L’unica cosa che mi sento di dire è che non dobbiamo diventare anche noi americani. Capire che non ci si può opporre alla realtà. Fare tutti i tentativi per esistere, fare tutte le alleanze anche di lista per strappare posizioni. Lanciare alcune idee chiave per l’Italia come quelle uscite dal convegno di Roma. Ma senza continuamente sfibrarci con frustranti accuse perché il mondo non è quello che vogliamo.

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