Gli anni neri, fino alla promozione e alla guerra del 1940 (da “La Gazzetta di Reggio”)
Anni bui, anni neri. Come il regime che mette tutti in divisa. Il partito si impossessa anche della Reggiana alla cui presidenza si alternano i gerarchi locali. Regolo Ferretti, che sarà nel secondo dopoguerra segretario della compagine granata, ne diventa commissario unico e allenatore, dopo la retrocessione in serie C del 1930, ove l’unico spiraglio di luce era stato proprio Montanari, di nome Raggio. Si riprende così dalla terza categoria mentre in Italia tutti cantano la canzone “Solo per te Lucia” e “Nerone” del grande Petrolini diventa il tormentone del momento. Da poco a Milano era morto Camillo Prampolini, nella più completa solitudine. A Reggio le imprese granata sono commentate da Giber, il primo vero giornalista sportivo, che scrive su “Il Solco fascista”. Il vecio Bezzecchi gioca terzino al posto di Vighi, militare, mentre dalla Romagna arriva a Reggio il nuovo portiere. E’ Aroldo Corazza, proveniente dal Castelbolognese, e sarà il guardiano granata della prima metà degli anni trenta. Ma la vera rivelazione è il giovanissimo Alcide Violi, detto Cèna (piccolino). Segnerà 11 gol, meno di Raggio (20). Alla fine del torneo la Reggiana è ammessa al girone finale. Deve incontrare Comense, Pavia e Spal. Lo schiaffo a Como è durissimo (7 a 0) e a poco servono i pareggi con Pavia e Spal.Per la B si può attendere. Nell’estate del 1931, mentre Learco Guerra trionfa al campionato del mondo ciclismo, la Reggiana si rifà il trucco. Da Bagnolo arriva la stirpe dei Campari: Milo, Socrate e Nellusco. Manca solo il quarto fratello, Lanfranco, abbandonato senza pietà oltre Massenzatico. La famiglia Campari anticipa la famiglia Benelli, per ora rappresentata dal solo Arturo (arriveranno anche Gino e Carlo). Al centro della mediana si afferma Vivaldo Fornaciari, unico nero reggiano doc. Carnagione scura per via di antichi geni bracciantili, che si prese il nome di Zanzù, emiliana traduzione di Jean Joup, pugile nero che nel 1930 aveva combattuto a Reggio. Il campionato non è esaltante. Alla fine siamo solo quarti (alle finali vanno le prime due: Forlì e Pavia). Non molto meglio va il campionato 1932-33, che si disputa con la stessa formazione, e dove debutta il giovane correggese Quirino Montanari, detto Pierino. I tifosi, però, si mobilitano: il mille vanno a Carpi, in trecento a Bologna (si gioca anche contro il Bologna B). Siamo solo secondi e alle finali stavolta ne va una sola (la Spal). Malefica coincidenza. Per puntare in alto serve qualcosa in più. E nell’estate del1933 ecco tornare a Reggio il grande Stefano Aigotti (detto Piombo), già calciatore del Milan, del Legnano e del Livorno. Che musica con Violi e anche col Carro di Tespi che mette in scena al Mirabello “Bohème” e “Trovatore”. Mentre l’Italia di Pozzo vince il mondiale a Roma, la Reggiana si qualifica per le finali che perde dopo una cinquina clamorosa subita a Savona e in B vola il Catania. Obiettivo solo rinviato di un anno? Così si pensa, anche perché la Reggiana si rafforza ancora nell’estate del 1934. In porta si alterna con Corazza il reggiano Piero Ferrari (Piròn) che sarà al Bologna e giocherà anche in nazionale. Poi arriva dal Sassuolo la forte ala destra Zironi (giocherà in A col Modena). Sembra fatta. Piombo e Cèna segnano caterve di gol e abbiamo anche un allenatore straniero. E’ il danubiano Mora Maurer. Alle finali si arriva pari al Siena ed è indispensabile un spareggio. Lo si gioca a Pistoia, vicino a Siena e lontano da Reggio. Pistoia è invasa da senesi che fanno un tifo d’inferno, condizionano l’arbitro (che sbatte fuori tre dei nostri) e siamo sommersi da sette gol. A fine partita ci fanno pure il funerale. Niente paura. Si riprende dal 1935-36 senza Aigotti, senza Violi, senza Corazza, senza Milo Campari. Arrivano giocatori dalla Romagna: Ballerini, Ballardini, Scaccini, poi il lungo centravanti Gaddoni. Il campionato è interessante, ma le finali le sfioriamo soltanto. Poi l’anonimo campionato 1936-37 coi nuovi Susmel, Lionard, Lanzone, Fornasaris. E’ il più deludente del tornei granata degli anni trenta ed è meglio soprassedere. Siamo solo settimi. Si riparte dal 1937-38 con una formazione imbottita di giovani (il portiere Ferrazzi, i due terzini Bonfanti e Bernacchi, il reggiano Carlo Benelli). Ritorna il guastallese Casanova, con i più attempati Valenti e De Stefanis. Nella terzultima partita , quella col Lecco al Mirabello, Zanzù Fornaciari perde la testa e, forse per rinverdire il suo soprannome di pugile, prende a pugni l’arbitro. Sarà squalificato a vita, ma verrà amnistiato dopo la vittoria ai mondiali francesi del 1938 e tornerà nel 1940. Siamo solo terzi e non basta per l’accesso alle finali. Poi il campionato successivo, quello del 1938-39, mentre in Europa già spirano venti di guerra. Il nuovo presidente Giovanni Marzi fa le cose in grande. A Reggio arrivano giocatori importanti: Mazzoni, mezzala di esperienza, già al Modena in serie A, il terzino Gatti, l’ala destra Schaffer, il mediano Malagoli (detto Scheggia). Sembra fatta. Ci qualifichiamo per le finali e alla fine si perviene alla scontro decisivo col Brescia all’ultima giornata con due risultati a favore. Il Mirabello esplode di pubblico. Ma qui succede il finimondo. Il bresciano Gei ci impallina nel secondo tempo. Si canta “Saran belli gli occhi neri, saran belli gli occhi blu, ma le gambe , ma le gambe, sono belle anche di più”. Ma che gambe questo Gei deve avere per gettare in rete una palla così indemoniata. Così irrispettosa per i nostri colori. Indispettiti, puntiamo sul quaranta. Esplode la guerra in Europa. Si deve morire per Danzica? Mussolini nicchia. Intanto attendiamo intonando “Maramao perché sei morto”. Di lì a poco moriranno milioni di esseri umani. Ma noi pensiamo anche al calcio e la Reggiana si affida al Veneto. Da questa regione arrivano il centromediano Bernardi, la mezzala Romanini, il centravanti Maran, l’ala sinistra Biagini, dal Livorno il ferrarese Duo. E soprattutto da Bagnolo, come i Campari, sembra l’ora del portiere Satiro Lusetti (Gatto magico) che si alterna col reggiano Vasirani. E’ un anno tragico, ma è l’anno buono. A Natale giochiamo il quinto turno di Coppa Italia in un Mirabello imbottito di 8mila persone-sardine contro il Genoa (che il regime aveva ribattezzato Genova 1893). Al novantesimo siamo ancora pari (1 a 1) e sono necessari i supplementari. Noi cediamo solo alla fine, dieci contro undici, in una gara eroica. Ed eroici sono i nostri in finale. Il 12 giugno il Taranto ci lascia le penne (3 a 1) al Mirabello. Due giorni prima il discorso del duce diffuso in tutte le piazze aveva aperto le ostilità italiane. Poi la vittoria col Savona per 2 a 0 del 7 luglio ci regala la grande festa. Quelli che il mese prima intonavano “Guerra”, come nell’Aida di Verdi, cambieranno idea. Torniamo in B dopo dieci anni. Sembrava un record. E invece…
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