A quarant’anni da quell’omicidio
La notte del 12 giugno del 1975 venne freddato con due colpi d’arma di fuoco il giovane esponente di Lotta continua Alceste Campanile. Lo conoscevo bene. Era reggiano e studente, come me, all’Università di Bologna. Qualche volta avevamo suonato la chitarra insieme, con un amico comune. In qualche bettola di periferia, immersi fino al collo entrambi tra musica e politica. Era appena tornato da un esame, superato brillantemente, aveva lasciato il libretto universitario sotto l’uscio di casa e si era diretto verso una discoteca di Montecchio, tra Parma e Reggio, molto frequentata dai giovani. Il suo corpo è stato ritrovato in una stradina di campagna a metà strada tra Sant’Ilario e Montecchio.
Alceste aveva militato nel Fronte della gioventù, organizzazione di estrema destra, prima di aderire a Lotta Continua e la prima sensazione che ci pervase fu quella della consumazione di una feroce vendetta di stampo fascista verso un ragazzo accusato di tradimento. Nel pomeriggio si tenne una grande manifestazione, promossa dal comitato antifascista, in cui noi giovani socialisti ci battemmo, contrastando su questo i comunisti, perché anche gli esponenti di Lotta continua potessero parlare. Il giorno del funerale decine di migliaia di militanti di Lotta Continua, con Adriano Sofri in prima linea, tennero un’imponente manifestazione inneggiando però anche alla lotta armata.
Da allora la magistratura si è imbattuta nel muro di silenzi e sospetti, prevalentemente animati dal padre di Alceste, che si orientavano verso la parte opposta rispetto a quella preventivata. In particolare negli ambienti bolognesi dell’estremismo venne riportata all’ex dirigente di Lotta continua Marco Boato una ricorrente intimazione a stare attenti, si disse, “altrimenti farai la fine di Alceste Campanile”. Si cercarono responsabilità soprattutto in quell’area dell’estremismo armato che serviva per la vigilanza di Lotta Continua, si ipotizzò anche un rapporto stretto tra il sequestro e il delitto Saronio e quello di Alceste. Si dichiarò che parte del denaro sarebbe transitato da Reggio e proprio da Alceste.
Mai nessun pentito, fino al 1999, ebbe qualcosa di concreto da dichiarare sul delitto Campanile, contrariamente a tutti gli altri. Si pensò dunque ad un omicidio molto particolare. Poi, appunto nel 1999, Paolo Bellini, coinvolto in delitti di mafia, elemento di estrema destra, in combutta con pezzi di servizi segreti deviati, fuggito in Brasile e tornato in Italia sotto falso nome, dopo il suo arresto avvenuto in un noto ristorante reggiano, ha aperto il sacco confessando di essere stato lui, assieme a un suo compagno di Avanguardia nazionale, ad uccidere Bellini su ordine di un terzo, un noto leader di Avanguardia nazionale. Il movente tornava ad essere quello dei tradimento e si aggiungeva quello di un attentato non riuscito che Campanile avrebbe ordito contro l’abitazione dei Bellini.
Però gli altri due chiamati in causa da Bellini sono stati assolti. Dunque la sua resta una verità incompleta visto che le pistole che spararono furono due. Ammesso che Bellini abbia detto la verità, visto che per il delitto Campanile non ha dovuto scontare nemmeno una condanna, perché i 22 anni del processo ultimato nel 2007 sono andati in prescrizione, e visto che di delitti ne aveva commessi otto o nove, certificati e dunque anche gli anni comminati non avrebbero appesantito più di tanto la sua posizione, restano ancora tante domande. La magistratura intende evitare, dopo che almeno il secondo colpevole, oltre al mandante, sono ancora sconosciuti, la celebrazione di un nuovo processo? Come è possibile credere a Bellini se ha detto il falso su chi lo accompagnava e su chi ha inviato i due a consumare il delitto? A me pare che il delitto Campanile sia ancora avvolto nel mistero.
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