Laudato sì mì Francesco
Non poteva che si ispirarsi al famoso cantico di Francesco d’Assisi, tutta protesa ad esaltare la natura, la prima vera enciclica di Papa Francesco, che non solo nel nome scelto ha deciso di ispirarsi al suo nobile predecessore, che la Chiesa del duecento purtroppo osteggiò. Bergoglio è dunque già dal nome un eretico. Mai nessuno prima di lui aveva scelto Francesco come nome di un papa. Oggi si comprende ancor meglio la sua professione di fede. Se la prima enciclica di papa Francesco era in realtà ereditata da Benedetto, questa è più francescana che mai nell’analisi e nelle proposte.
La bussola è la difesa dei poveri, ai quali si fa pagare sia la crisi finanziaria (le banche sono sul banco degli imputati), sia quella delle risorse fondamentali del pianeta. Vi è, secondo Francesco, una sempre più marcata disparità, e dunque ingiustizia, tra ricchi e poveri nel mondo. Il liberismo, il mercato libero e senza regole, non solo non è una soluzione, ma ne è una delle cause. Il papa torna a parlare di decrescita, di grave conflitto su una risorsa fondamentale come quella dell’acqua, e non solo di un “diverso stile di vita” al quale precedentemente aveva fatto cenno Benedetto XVI.
Le indicazioni di Bergoglio sono quelle di un nuovo umanitarismo e solidarismo internazionale e questo dopo avere duramente condannato i respingimenti di coloro che nel mondo chiedono aiuto. Vi è un intreccio tra povertà e sfruttamento delle risorse. Il mondo peggiora per i guasti introdotti dall’uomo sulla natura. L’invito a volare alto, ad andare alle radici dei conflitti, a individuare soluzioni per il mondo in nome proprio di un internazionalismo umanitario si fonda su un messaggio che invita a strategie che guardano ai valori di fondo e non alle opportunità presenti. Oggi nessuno, nella politica, offre questa prospettiva indicando a coloro che stanno meglio di stare un po’ meno bene per elevare il livello di vita di chi soffre.
È vero, la Chiesa non si preoccupa dei voti. Ed è giusto che chi governa un popolo tenga presenti i bisogni, e anche le paure di chi governa. Ma è altresì vero che lasciare solo alla Chiesa un messaggio sui valori di fondo di giustizia e di solidarietà, mentre nel mondo si erigono muri e si schierano eserciti per impedire a chi chiede aiuto di soddisfare un’esigenza vitale, è alquanto pericoloso. E questo del rapporto tra il messaggio della Chiesa di Bergoglio e quello della politica, di destra e anche di sinistra in Italia, in Europa e nel mondo, è oggi l’aspetto più inquietante.
In questa occasione non siamo solo di fronte alle vecchie e scontate obiezioni ecclesiali alla guerra e alla violenza, già più volte manifestate da Giovanni Paolo II. Siamo di fronte a una globale contestazione della nostra società, superando i vecchi e logori schemi nazionali in nome, appunto, di una nuova globalizzazione umanitaria. E questo affondare nella radici di un fenomeno i suoi effetti, ad esempio nel legame tra crescente povertà anche di chi deve accogliere e diffidenza, paura, ostilità verso chi deve essere accolto, rappresenta un modo corretto di impostare un problema.
Ci pensi anche la sinistra italiana che traccheggia e manifesta una cultura spesso della subalternità ai poteri forti della finanza, della industria e degli egoismi nazionali. Bergoglio non è Che Guevara e l’Europa di oggi non è il Sudamerica, ma che la crisi della finanza originata dalle banche si sia trasferita sui popoli e che le regole dell’euro oggi, con gli sbarramenti al tre per cento che non si comprende da cosa originati, abbiano seminato povertà e disoccupazione, che lo sfruttamento delle risorse abbia sempre più impoverito i paesi poveri, questo risulta incontestabile. La filosofia dei non global combatte la realtà è va rifiutata. Ma che la globalizzazione debba svoltare verso un nuovo umanesimo questo è giusto e anche necessario oggi. Il richiamo del papa è dunque anche realistico. Opportuno, se non vogliamo che il conflitto divenga sempre più aspro e ci sommerga.
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