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Banchi, rossi e… Verdini

23 Luglio 2015 1.577 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Si fa un gran parlare di un gruppo di sostegno al governo Renzi formato da una frangia di senatori (che ci siano anche deputati importa molto meno) che provengono da Forza Italia, capitanati da Denis Verdini, granduca di Toscana per il partito di Berlusconi, uomo di potere e non solo politico. Ma appunto fiorentino, come il presidente del Consiglio. A volte, si sa, anche il campanilismo ha una sua importanza. Soprattutto per chi si sente figlio di Dante e di Michelangelo. Parte integrante di una storia di cultura che non ha eguali nel mondo, generata dalla capitale del Rinascimento.

A occhio non mi pare però che questo sia argomento che ammalia più di tanto un solido personaggio come Verdini. Un suo loquace proselite, certo D’Anna, che è passato improvvisamente dall’intransigenza di Fitto all’assoluta transigenza di Verdini, arriva perfino a ipotizzare di confluire nel partito della nazione con Renzi. Nazione italiana, non fiorentina. La cosa merita qualche considerazione. La prima è relativa al fuggi-fuggi dell’entourage politico più stretto di Berlusconi che si è verificato negli ultimi tempi. Facciamo due conti: Cicchitto (già presidente del Gruppo alla Camera), Bondi (già coordinatore del partito), Bonaiuti (portavoce e uomo di fiducia del presidente), Capezzone (portavoce del partito), Alfano (coordinatore del partito e designato alla successione). Ho letto che Scajola si è iscritto al partito radicale. Doppia tessera o tessera unica?

Tra cerchi magici di donne con labbra rifatte e fughe dalla terra dei cachi, il trasloco mica è di poco conto. Ma deriva oggi da un elemento indiscutibile. La nuova natura, cioè, del Partito democratico. Novità perfino auspicata da Berlusconi. Non aveva più volte affermato il buon Silvio, improvvisandosi anche nelle vesti del talent scout, che con Renzi il Pd sarebbe diventato un vero partito socialdemocratico? Si tratta di uno dei tanti errori di definizione politica del cavaliere. Intendeva affermare che finalmente la sinistra italiana con Renzi non sarebbe stata più comunista. Ma allora non perde oggi la sua giustificazione di fondo, con questa trasformazione, anche Forza Italia?

Ecco perché non mi stupisco del movimento di Verdini, che è solo l’ultimo in ordine di tempo. E mi stupisco invece dei richiami all’ortodossia di Speranza e anche di qualcuno dei nostri. I casi sono due. Se l’opposizione del Pd mantiene l’appoggio al governo non ci sarà bisogno di nessuno. Di nessun transfuga, bianco, rosso o Verdini. Se non lo farà difficile contestare che il governo possa godere di altri appoggi. In politica dovrebbe esistere la logica. Non puoi rimproverare a un tuo interlocutore di essere sorretto da altri, se tu non lo fai. Quel che chiede oggi la minoranza del Pd e di reggersi solo coi suoi voti determinanti. Voti che al Senato sulla riforma costituzionale e su quella della scuola potrebbero non esserci. L’importante sarebbe però ammettere che la maggioranza in questo caso cambierebbe. E si fonderebbe sulla spaccatura del PD e sul supporto di una parte di ex berlusconiani (compreso il nostro ex Barani col suo immancabile garofano all’occhiello). Non si può tornare alle convergenze parallele che almeno erano politicamente esplicite. Quel che non si comprende è l’allarme della minoranza del PD che vuol tornare ad Ovidio: “Nec tecum nec sine te vivere possum”. Ma Renzi è fiorentino, mica di Sulmona…

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