A proposito dei circoli e delle fondazioni socialiste disperse
Per preservare storia e immobili del Pci, com’è noto, esiste una fondazione presieduta dal potente e simpatico Sposetti. Stessa cosa per la Dc, che mantiene una fondazione con una lussuosa sede in pieno centro storico a Roma. Per il Psi esiste il recente tentativo della fondazione di Gennaro Acquaviva, ma la sua storia e suoi simboli, la tutela delle sue personalità sono tutt’ora affidati a un rivolo di circoli e di fondazioni ognuno separato e geloso dell’altro. Partiamo dalla Fondazione Nenni, oggi presieduta da Giorgio Benvenuto e passiamo alla Fondazione Craxi di Stefania, e in mezzo Critica sociale con la raccolta della storica rivista che fu di Filippo Turati, e quella parziale dell’Avanti (che parte dal 1945), poi la Fondazione Turati di Maurizio Degli Innocenti con sede a Firenze, quella intestata a Salvemini a Torino, quella dedicata a Di Vagno a Bari, quella Nevol Querci a Roma, l’unica che dispone della raccolta completa dell’Avanti e forse anche di un archivio di documenti del Psi.
È incredibile che non si riesca a mettere insieme le forze, cioè la storia. Contrariamente a ciò che avviene per il Pci e la Dc, non esiste oggi un luogo in cui sia ubicata il nostro passato. Uno storico, un ricercatore, uno studente, un giornalista non sa oggi a chi e dove rivolgersi. Ci rendiamo conto della follia? Per non parlare della digitalizzazione dei nostri documenti e dei giornali socialisti. L’inizio della digitalizzazione dell’Avanti ad opera del Salvemini è un atto isolato e per ora senza seguito. È giusto protestare contro le assurde e burocretine decisioni del Comune di Milano coi suoi sfratti avvenuti, poi negati, infine solo attenuati. Però ci sono cose che dipendono solo da noi. Ma noi facciamo di tutto per renderle complicate, se non impossibili. È vero, in questi vent’anni i socialisti si sono divisi, frazionati, dispersi. Chi ha scelto, pochi, di continuare a militare in un piccolo partito socialista, chi ha scelto, molti, nuovi approdi politici. Da Berlusconi al Pd, i meno. In tanti hanno deciso di starsene a casa e molti non ci sono più per le inderogabili leggi della vita. D’accordo. Ma se la Fondazione democristiana tiene insieme personaggi delle diverse anime perché non si può fare altrettanto per le diverse e disarticolate arterie socialiste?
Uno spirito individualista e anarchico è certo più presente da noi che altrove. Ma non basta per spiegare questa assurda anomalia. Ci deve essere dell’altro. Credo che abbia prevalso, da noi, molto più che in casa democristiana e comunista, il desiderio di recidere le radici, di richiudersi in un reticolato personale, familiare, amicale. Di difendere cioè più la storia di ciascuno, che quella di tutti. Oggi sono passati ormai ventitré anni dal decantato 1992, che è diventato un film, non più un evento oggetto di polemica politica. Un ricordo drammatico. Ma storico. Non è il momento di unire le forze, almeno per preservare il nostro passato? Se c’è una cosa della quale siamo fieri e di essere figli di Turati e non di Bordiga e di Sturzo, di Saragat e non di Secchia e di Scelba, di Nenni e non di Togliatti e di Tambroni, di Craxi e non di Berlinguer e di Moro. Possibile che non riusciamo a metterci d’accordo nemmeno per difendere tutti insieme le nostre ragioni?
Mauro Del Bue
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