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Nostalgie

4 Agosto 2015 1.099 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Siamo obbligati a rimpiangere Gheddafi, alla luce del caos libico, dove esistono due governi contrapposti e si frastagliano miriadi di tribù che comandano sui territori. Siamo obbligati a condannarci per i bombardamenti su Tripoli voluti dai francesi e dagli americani, ma accettati e appoggiati anche dall’Italia di Berlusconi, non dalla Germania della Merkel. Siamo forse costretti ormai a rimpiangere “le democrature”, come le definì il nostro De Michelis, un misto di dittatura, molta, e democrazia, poca, dei vari regimi arabi ribaltati dalle rivoluzioni di Primavera. In molti, anche laggiù, sono sensibili alla nostra vecchia tiritera dell’arridatece er Puzzone. Non era meglio tenerci Ben Alì, Mubarak, perfino Saddam, oggi che questo capovolgimento ha partorito i barbari dell’Isis?

Viviamo un momento di forti nostalgie. Il presente risulta quasi sempre peggio del passato. Per i più vecchi era il contrario. Cosa poteva esserci peggio della guerra, dei bombardamenti, della povertà. Ma per la nostra generazione non è così. Anche in Italia ormai si rivalutano Andreotti, Fanfani, la vecchia Dc, mentre sul Psi e su Craxi è ormai in fase avanzata un processo di riabilitazione, anche troppo lento. Nel socialismo europeo chi non rimpiange Mitterand, al confronto Hollande non regge, chi non paragona i vari Soares, Gonzales, Schroeder ai socialisti di oggi, con ampio margine di vantaggio per i primi? Chi non parla di De Gasperi, di Adenauer, di Churchill, come di statisti senza eguali? E chi non crede che Kennedy, ma anche Reagan, avessero una marcia in più rispetto ai loro successori?

La nostalgia si diffonde e si allarga ormai in ogni campo. Dal cinema, alla musica, al teatro, alla scienza. Forse solo in quest’ultimo campo oggi si possono trovare degli epigoni d’un certo spessore. Ma in Italia abbiamo avuto Sordi, Gassman e Mastroianni, e oggi? Poi anche Fellini, Visconti, Antonioni, De Sica, Pasolini, poi? E dopo Pavese, Vittorini, Ungaretti? E dopo Modugno, De Andrè, Battisti, Gaber? E chi ci sarà dopo Fo? E dopo Muti, visto che Abbado non c’è più? E perché nessuno oggi è in grado di sostituire i tre tenori Carreras, Domingo e Pavarotti? Una forte nostalgia ci prende anche per le vecchie cinquecento e le ragazze con le minigonne.

O siamo noi che viviamo in un’epoca densa solo di incertezze? Non era finita la storia dopo la caduta del Muro, secondo un noto filosofo giapponese? E cos’è questa crisi di cui non conosciamo bene i motivi, con l’invisibile finanza che ci accompagna silenziosamente e malignamente? Si ha quasi l’impressione che “era sempre meglio quando si stava peggio”. Perché? Perché anche i sindaci e gli assessori di oggi ci sembrano più sbiaditi, più amorfi, insomma di gran lunga meno primi cittadini? E pensare che si vuole rottamare il passato. Bisognerebbe rottamare il presente. Però indietro non si torna. Restiamo come ingrippati. Appesi al filo della nostalgia per chi e cose che non ci sono più. Prigionieri di un mondo oggi da vivere senza poterlo accettare. Rassegniamoci a un futuro indecifrabile. L’unica cosa da pretendere sarebbe quella di chiedere il conto a chi ci ha ridotti così. A chi si è vantato del rinnovamento e a chi lo ha provocato o sostenuto. A chi vede con occhiali deformati la realtà. Ma sarebbe chiedere troppo…

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