Agguato (come a Cesare) al Senato…
Come Giulio Cesare alle idi di marzo del 44 avanti Cristo, anche Matteo Renzi rischia di lasciarci le penne proprio al Senato. Cesare venne trafitto dal suoi oppositori, ma anche da coloro che credeva amici: “Quoque tu, Brute, fili mi”, mormorò mentre cadeva sotto le coltellate dei suoi attentatori. Anche Renzi rischia di essere abbattuto dal fuoco amico. Oddio, amico mica tanto, perché la minoranza dem tenta da tempo di dare una spallata al giovin signor fiorentino. Poi, ogni volta rincula, tentenna e al momento giusto perde pezzi. Renzi non ha un Ottaviano dietro l’angolo, ma un gruppo di oppositori che come quelli di Cesare gli imputano di avere pressoché poteri assoluti. Come Cesare anche Renzi pare un uomo solo al comando, di ciclistica e bersaniana memoria. Tutto ruota attorno al secondo articolo della legge, quello che riguarda la composizione del Senato, riportato dalla legge costituzionale a cento e nominato in gran parte dai consigli regionali. La posizione dei fautori dell’elezione diretta sarebbero in maggioranza, secondo i calcoli delle firme raccolte. Non cambierebbe granché, perché l’elezione sarebbe solo assicurata dal titolo di consigliere regionale e si sono studiate anche forme un po’ contorte di listini bloccati (che novità…) da affiancare a quelli dell’elezione diretta dei consiglieri regionali. Pare che la mediazione non abbia avuto fortuna. Ciononostante Renzi non indietreggia di un palmo. Perché, se è consapevole di essere minoranza non cede sul punto? Le ipotesi sono due. O pensa di non essere minoranza perché convinto di avere su questo argomento un deciso aiuto dalle forze di opposizione (dunque ci sarebbero franchi, anzi palesi, tiratori che hanno firmato l’eleggibilità e che sarebbero pronti a votare il suo contrario), oppure vuole lo scontro definitivo coi suoi oppositori interni puntando a nuove elezioni, o quanto meno minacciandole, perché il presidente Mattarella difficilmente potrebbe sciogliere le Camere sulla base di un crisi di governo aperta da un voto su una riforma costituzionale. Resta il fatto che “hic Rhodus hic salta”. Il Senato è ancora luogo di agguato. Con una differenza non da poco, però. Chi oggi potrebbe sostituire Renzi alla guida del primo partito italiano e del governo? Ci sono in giro nuovi potenziali imperatori? Aprire la strada a Grillo, cioè a Di Maio, o a Salvini, a chi conviene? Ecco perché penso che alla fine Renzi scamperà. Anche se mi trattiene un dubbio. E cioè che nuove elezioni si svolgerebbero col Consultellum anche per il Senato. E che la sua eleggibilità sarebbe così assicurata per molti senatori in scadenza di mandato. A pensar male a volte ci si prende.
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