Blair, Corbyn e noi
Un vento d’improvvisa pazzia sta attraversando l’Europa? Pare che ogni riferimento al passato recente venga oggi dismesso e deposto in soffitta. Anche nella sinistra tradizionale emergono nuovi profili, da Tsipras a Corbyn, col primo che però ha mostrato la difficile conciliazione tra suggestioni e provvedimenti nell’esercizio del governare. Del secondo prendo la frase del Blair oggi ridotto a reperto archeologico senza valore, e cioè che il nuovo leader ridurrà il Labour a partito di “opposizione permanente”. Bisognerebbe però chiedersi perché emergano oggi in larga parte dell’Europa, assieme a nuovi leader populisti, anche nuovi capi più o meno carismatici di stampo vagamente estremista nello stesso campo della sinistra.
Mi chiedo anche se all’estremismo parolaio corrisponda una condanna permanente all’opposizione visto che in Italia nessuno pensava a un Grillo al 25 per cento e anche oggi in grado di disputarsi il governo del paese. Anzi, credo che con la fine delle ideologie, così sepolte in Italia, ma in via di seppellimento anche altrove, una dose di robusta vocazione al cambiamento, spesso condita anche con una forte visibilità del personaggio, possa essere foriera di successo. Ci sono delle fasi nella storia italiana, pensiamo al 1921, e al conflitto armato che si sviluppò nelle piazze d’Italia, in cui pare che anche il popolo si abbandoni all’utopia dell’estremismo, gettando il riformismo dalla finestra. Per poi trasformarsi, come accade spesso anche oggi, e addirittura capovolgersi, una volta conquistato il potere.
Non sono dunque dell’idea che Corbyn abbia meno possibilità di successo della leader blairiana, anche se mi pare improbabile l’accesso dell’uomo col gonnellino al numero 10 di Downing Street. Quel che registro con sospetto è la semplice contrapposizione tra vecchio e nuovo e poi l’illogica acquisizione, come parametro del nuovo, proprio del vecchio armamentario ideologico. Di Marx si potrà dire anche bene, ma che non ne abbia indovinate molte (dalla sparizione del ceto medio, alla crisi definitiva del sistema del libero mercato, alla dittatura del proletariato come fase transitoria, alla profezia sulla sparizione del denaro nel comunismo, al valore mistico della teoria del plusvalore e potrei continuare) é fuori discussione. Che sia stato il primo a usare un metodo d’indagine che privilegia l’assetto economico, considerando il resto una sua derivazione o sovrastruttura, e questo è spesso ancora attuale, è anch’essa consapevolezza largamente acquisita. Oggi come ieri.
Ma che per rinnovare o rivoluzionare il sistema occorra, come sembra fare Corbyn, rifarsi al marxismo, cioè andare indietro di duecento anni, lo trovo davvero bizzarro. Questo mi pare il punto politico più stimolante da indagare. Esistono nel mondo socialista europeo, e in fondo anche nel nostro esiguo partito, coloro che in nome della crisi intendono rinnovare il partito con una clamorosa retromarcia. Un ritorno non al futuro, ma al passato più remoto. Anche in Italia, anche nel Psi, ci sono i pre craxiani, quelli che riscoprono la falce e il martello, e perfino il Nenni frontista e il povero Morandi. Penso che invece i nuovi problemi, dalla globalizzazione economica al libero commercio, alla finanziarizzazione dell’economia, all’Europa dei vincoli e alla informatizzazione, vadano affrontati con occhiali nuovi e non rifacendoci a vecchie teorie che non potevano certo considerare il mondo in cui oggi viviamo.
Se continuo a parlare di socialismo liberale è perché vedo che i due termini dell’equità e della libertà anche oggi possono funzionare da bussola. E perché ritengo che molte anticipazioni che noi stessi abbiamo suscitato possono esserci d’aiuto: il superamento dell’idea statalista, la trasformazione dello stato sociale in società solidale, i primi e anticipatori sussulti sul fenomeno della migrazione, la sensibilità al tema istituzionale, le lotte per i diritti civili. Vorrei capire su cosa dovremmo sentirci superati e per di più proprio da tutto ciò che noi stessi abbiamo superato. Se c’è stato un errore di valutazione è quello di aver considerato il progresso una variabile indipendente e lo sviluppo in grado di raffreddare il debito. Può essere che abbiamo ragionato con l’ottimismo della volontà più che non con il pessimismo della ragione. Restano molte cose nuove con le quali fare i conti. Come conciliare, ad esempio, solidarietà e sicurezza, come affrontare la guerra al terrorismo islamista, come difendere la nostra civiltà liberale. E per quanto riguarda l’Europa, come costruirla, fuoriuscendo dai rigorosi vincoli di Maastricht che un leader socialista italiano sollecitò a rinegoziare già a metà degli anni novanta.
Se noi fossimo in grado di affrontare questi problemi nuovi senza scivolare nelle vecchie ideologie sarebbe un bene. Anche perché confinare nella crisi del blairismo la crisi del socialismo liberale rappresenta un’evidente e strumentale forzatura. Come mai, invece, Schroeder viene considerato oggi la fonte benefica del progresso tedesco e come mai la sua Agenda 2010, che se adottata in Italia avrebbe portato a contestazioni viscerali e a massicci scioperi generali, è invece considerata in Germania una sorta di Bibbia? Che dire di Tsipras e della strana sindrome sinistra che porta sempre a idealizzare chi è in crisi (la Grecia) e non chi la crisi ha saputo superare (la Germania). E che dire ai cultori delle ideologie della signora Merkel e della questione delle quote che, approvate dalla democristiana Germania, sono contestate anche dai socialisti ungheresi e cechi? Tornare indietro, molto indietro nel tempo, può farci cozzare contro troppi muri, anche di filo spinato…
Leave your response!