Padri e figli
Capita che i figli siano la maledizione dei padri. A mia memoria non è mai capitato il contrario. Bisogna andare agli anni cinquanta per ricordare un caso che travolse la carriera politica di un personaggio di primo piano della Dc. Si chiamava Attilio Piccioni ed era stato a lungo ministro dei governi centristi e anche presidente incaricato di formare un governo dopo le elezioni, quelle che bocciarono la legge truffa, del 1953. Nel marzo dello stesso anno una giovane donna venne ritrovata cadavere sul lungomare di Torvaianica. Si chiamava Wilma Montesi e sulla morte venne coinvolto l’anno dopo anche il figlio di Piccioni, Piero, musicista, che poi sarà definitivamente scagionato. Qualcun pensò anche ad un complotto ordito in casa Dc per eliminare Attilio Piccioni dalla corsa alla successione di De Gasperi, morto proprio nel 1954. Fatto sta che Piccioni, a seguito di quella dolorosa vicenda, fu costretto ad appartarsi e di fatto ad uscire dalla scena politica. Tornò al governo solo nel 1960.
Molto più tardi il potente ed eretico democristiano Carlo Donat Cattin scopri di avere un figlio terrorista. Si chiamava Marco e aveva aderito a Prima linea, macchiandosi di diversi atti di sangue. Al padre, ministro del lavoro del governo Cossiga, lo confidò direttamente il presidente, avvisato dai Servizi, e Carlo scoppiò in lacrime. Si dimise da ogni incarico di governo e da ogni funzione politica. Sul suo caso, perché accusato di avere favorito la fuga di Marco in Francia, il Pci di Berlinguer chiese l’impeachment di Cossiga in Parlameto. Donat Cattin sarà recuperato solo nel 1986 da Bettino Craxi come ministro del lavoro.
Che dire mai del Trota? Difficilmente capita che un soprannome spregiativo venga dato senza averne consapevolezza dallo stesso interessato. Fu proprio Umberto Bossi a definirlo così a chi gli aveva chiesto se fosse il suo delfino. Il Trota ne combinò di ogni colore. Con lui il segretario amministrativo della Lega che con soldi pubblici era addetto ai suoi vizi privati, compresa una misteriosa laurea in Albania. Il Trota fu costretto a dimettersi da consigliere regionale lombardo e a lasciare la politica. Il padre venne messo sotto nella Lega e definitamente accantonato, col suo cerchio magico, da Maroni e Salvini. Per un figlio Trota il senatore perse la cappa.
Più recente il caso di Maurizio Lupi, ministro delle Infrastrutture del governo Renzi. Il suo difetto era quello di avere un figlio ingegnere. Lo presentò ad Ettore Incalza, il mega dirigente del ministero, per apprendere il mestiere. Poi il resto, fino al Rolex regalato. Lupi, sollecitato dal presidente del Consiglio, che non lo difese, fu indotto a rassegnare le dimissioni. Poi il caso Boschi. Le colpe di un padre non possono ricadere sui figli, quelli dei figli sì. Ribadisco la convinzione che né le une né le altre siano trasferibili e che bene abbia fatto la Camera a negare il voto alla mozione di sfiducia alla ministra. Restano i fatti. E dinanzi a noi i diversi atteggiamenti adottati. E che i figli siano da ricondurre ai padri, non solo geneticamente ma anche politicamente.
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