Dominique e il diritto di morire
Il caso della militante radicale Dominique Velati, malata terminale di cancro, che ha scelto di morire in una clinica svizzera, rilancia in Italia il tema della legge sul fine vita, che pareva sepolto con la morte di Eluana Englaro. Dominique, per farla finita con le sofferenze fisiche e psicologiche che la malattia le aveva procurato (le avevano dato al massimo uno-tre anni di vita con infusioni massicce di chemioterapia) ha dovuto spendere 12mila e cinquecento euro per poter essere accolta in una clinica svizzera e a pagamento esaudire il suo diritto di disporre della propria vita.
L’Italia é uno dei pochi paesi senza una legislazione su questo delicato tema. Tanto che sulla vicenda così drammaticamente agitata da Beppino Englaro la parola passò ai magistrati. Per tentare di fermare la volontà espressa dalla figlia di Beppino, il governo Berlusconi scelse la deprecabile e incivile strada del decreto legge, che solo la morte di Eluana impedì al Senato di convertire. Fu quella scelta infausta il punto di caduta più bassa della maggioranza che sorreggeva il governo, quello che rese invero insuperabile il confine tra laici e berlusconiani, che pure in altre circostanze si erano considerati liberi sul voto attorno ai diritti civili.
Da allora la vicenda del fine vita o testamento biologico è rimasta nell’ombra. Ancora i radicali, con Mina Welby in prima fila, hanno rilanciato il tema. Marco Cappato, si è autodenunciato per avere aiutato Dominique a realizzare la sua scelta di morire e di non soffrire. La nostra Pia Locatelli presiede un comitato interparlamentare che dovrà al più presto, speriamo, rilanciare la legge. Resta il tema politico del continuo rinvio. Se si è ripreso a parlare della questione delle coppie di fatto con un accordo che dovrebbe coinvolgere anche il partito di Alfano (con la stepchild adoption ancora in bilico) il tema del fine vita resta tuttora avvolto nella più misteriosa penombra.
Eppure da più parti emerge la volontà di difendere le scelte individuali quando non confliggano con i diritti altrui. Se c’è una questione chiara a tale proposito è questa. Essa rimanda solo a un pregiudizio di tipo religioso che si pone come dogma da accettare per tutti. Che la nostra vita appartenga solo a noi è evidente. Che essa possa appartenere anche a un essere superiore è nella coscienza di tanti. E quest’ultima scelta va assicurata in nome del rispetto di tutte le fedi e credenze. Ma costoro, come noi siamo impegnati a fare, dovrebbero garantire anche la nostra fede, quella che discende dall’illuminismo e dalla ragione laica, che ci fa padroni della nostra vita. Questo è il perno fondamentale dell’intera vicenda: il diritto di ognuno a scegliere secondo la propria convinzione. Quella che intende tutelare la sacralità della vita e nel contempo quella che intende garantire la proprietà individuale della vita. Il primo non può, come oggi accade in Italia, soffocare il secondo. Altrimenti si rischia la stato etico. E si offende lo stato laico.
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