Adesso tutti per la cogestione?
Diciamo la verità. L’Avanti di temi ne ha anticipati. Pensiamo solo ai fallimenti delle banche e alla denuncia che da tempo Santoro e altri lanciano da questo giornale. Pensiamo al tema dei diritti civili e in primis a quello cosiddetto delle Unioni omosessuali, che è diventato problema essenziale anche per Renzi e il Pd, ma anche a quello del “fine vita” o testamento biologico che Pia Locatelli sta sviluppando in una apposita commissione interparlamentare. Ma pensiamo, adesso, anche alla questione della cogestione aziendale sul modello tedesco che la segretaria della Cisl Furlan ha messo nel suo carniere e che tutti i sindacati pare abbiano fatto propria. Quante volte ne abbiamo parlato su questo giornale e quante volte l’ho ricordata nella mia relazione alla conferenza programmatica?
Semmai dovremmo dunque parlare dello scarso impatto che sui media le nostre idee continuano a registrare. Più che pubblicarle sull’Avanti e proporle al partito, che le ha fatte sue con la già menzionata conferenza, non posso fare. Resto al tema del momento: la cogestione e il nuovo accordo sul modello contrattuale. La stessa Furlan ha annunciato che a giorni verrà diffusa la nuova proposta unitaria. Pare si basi su una funzione più marcata e incisiva della contrattazione aziendale e sui nuovi strumenti per poterla gestire. Uno di questi dunque sarebbe la cogestione alla tedesca.
La parola chiave pare essere dunque Mitbestimmung, ovvero cogestione. Essa presuppone la partecipazione diretta dei lavoratori alla gestione aziendale e soprattutto ai risultati economici e alla redistribuzione degli utili. In Germania ovest è iniziata con il German Works Costitution Act del 1952 che stabiliva che nelle aziende con più di 500 addetti i dipendenti dovessero rappresentare un terzo dei seggi del Consiglio di sorveglianza, organismo che affianca il Consiglio di gestione, ma che ha il potere di approvare i bilanci e di provvedere alle più importanti scelte aziendali. Nel 1976 si stabiliva poi che fra azionisti e dipendenti vi fosse la parità nelle aziende con più di 2000 dipendenti. I lavoratori eleggono poi il consiglio di fabbrica a scrutinio segreto ogni quattro anni e si tratta di organismo autonomo anche dal sindacato che ha importanti funzioni nella gestione del personale: assunzioni, licenziamenti, contratti temporanei e flessibilità d’orario.
Soprattuto in tema di informazione, la funzione è rilevante. I dipendenti sono informati nel dettaglio delle strategie aziendali e possono intervenire, bilanci alla mano, sull’opportunità o meno di chiudere un’attività produttiva. In Germania non esiste un vero e proprio contratto nazionale, ma solo un contratto d’area stipulato nell’ambito di un distretto anche per riconoscere la diversità delle condizioni in cui le aziende operano sul territorio. Il rapporto tra questi contratti e quelli aziendali è molto sbilanciato su questi ultimi.
Dunque finalmente anche il sindacato italiano pare (usiamo ancora il dubitativo ma non possiamo non prendere atto delle parole della Furlan) ormai convinto dell’esperienza tedesca. Spero solo che anche in questa materia non la si proponga attraverso una sorta di nuovo Italicum. Vedremo come reagirà la Confindustria. È evidente che noi, per quel che possiamo, se la partita in gioco sarà questa sosteremo il sindacato, molto più di quanto non abbiamo fatto sul Jobs act. Anzi la cogestione è lo strumento migliore per dare attuazione al Jobs act anche sui temi dell’ex articolo 18. Il problema non è quello dii imbalsamare leggi di cinquant’anni fa, ma di stabilire poteri nuovi per decidere le diverse, specifiche situazioni. Un potere che non può non essere affidato anche ai lavoratori. La flessibilità dei diritti comporta una partecipazione alle decisioni.
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