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Quel ragazzo torturato e ucciso

5 Febbraio 2016 2.780 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Che il regime egiziano, seguito all’allontanamento dei Fratelli mussulmani, che a loro volta si erano insediati dopo la primavera che aveva sostituito Mubarak, non fosse un esempio di democrazia, era noto. Che Al Sisi, un militare impegnato nella lotta all’Isis e amico dell’Occidente, non fosse un santo, si sapeva. Ma che, dopo il barbaro assassinio dello studente italiano Giulio Regeni, torturato e accoltellato a morte, il regime abbia parlato di incidente stradale, è davvero oltre ogni limite di decenza. Cosa è successo quel giorno, il 25 gennaio, quando il ragazzo ha fatto perdere le sue tracce, proprio in coincidenza con la celebrazione della primavera egiziana? E perché egli aveva manifestato segnali di preoccupazione, sia personalmente sia attraverso il giornale per il quale scriveva peraltro con uno pseudonimo, e cioè Il Manifesto?

Ancora non esiste alcuna ipotesi ufficiale sulla matrice del delitto di cui è stato vittima il dottorando di Cambridge che, da settembre, abitava in un appartamento del Cairo per scrivere una tesi sull’economia egiziana presso l’American University. A far temere il peggio erano state martedì scorso fonti del Cairo che avevano escluso l’ipotesi della scomparsa del ragazzo per un errore dei servizi di sicurezza egiziani compiuto proprio il 25 gennaio, giorno di solito caratterizzato da disordini e arresti (quest’anno peraltro meno numerosi e non segnalati nella zona del Cairo dove lo studente era sparito). Quello che però sconcerta è il tentativo egiziano di derubricare un feroce omicidio e di collocarlo alla stregua della banalità dell’incidente. Questo turba e conduce a terribili sospetti.

Giusto che il governo italiano si mostri inflessibile e dopo aver convocato l’ambasciatore invii suoi investigatori per arrivare a colpire i responsabili. Naturalmente non si può escludere nulla, nemmeno la pista Isis che ha già colpito nella zona del Cairo. Quello che è emerge, come a Tunisi, come a Nasshyria, come altrove, è che la mancata stabilizzazione del medio oriente e dei paesi arabi colpisce tutti, anche gli italiani. Perfino in Egitto, un paese che a prima vista potrebbe apparire tranquillo. Dalla Libia arrivano solo segnali inquietanti, e speriamo che finalmente Tobruk accetti il patto con Tunisi e poi vedremo quale sarà il ruolo che l’Italia è chiamata a svolgere, mentre in Siria, Assad, forte dell’appoggio di Putin, non concede una tregua richiesta dalla coalizione internazionale e accolta dai suoi oppositori e continua l’offensiva militare. Noi oggi piangiamo questo ragazzo pulito e colto, come un nostro figlio contro il quale è stata commessa una violenza bestiale. E pensiamo di essere tutti meno sicuri, se non comprendiamo che ormai quel confitto che genera insicurezza e paura, è purtroppo anche il nostro conflitto. E voltarci dall’altra parte non ci esenta dall’essere considerati nemici.

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