La rottura di D’Alema
Leggo sempre con interesse le non poche interviste di stampo polemico di Massimo D’Alema. I suoi ragionamenti non sono mai banali e scontati, ma logici e lucidi. Li segui con curiosità a fronte di un lessico spesso blaterato della classe politica odierna. Poi si può convenire o meno su quel che il “lider Maximo” sostiene, sempre animato da una verve sarcastica appuntita. Da giudizi personalistici acidi e velenosi. D’Alema spara ad alzo zero. Forse come mai era accaduto prima. Non risparmia nessuno, da Guerini, a Orfini, a Giachetti, tutti li avvolge e li getta sprezzantemente nella spazzatura arricciando il naso.
Ma quel che stupisce di piú é l’apprezzamento per Verdini, giudicato “un uomo intelligente e molto meno estremista di alcuni suoi partner del Pd”, che ha a cuore l’Italia che rischia di finire in un ballotaggio Renzi-Grillo. E qui una certa contraddizione esiste tra tale giusta preoccupazione e l’idea di accusare Renzi di spostamento a destra senza escludere, é la prima volta, l’eventualità di una scissione. Che in qualche misura potrebbe essere anticipata dal sostegno esplicito (ma ci vuol poco a capire che di questa candidatura Massimo é il mallevatore) di Bray a Roma e dalla sempre piú probabile lista civica di Bassolino a Napoli o dalla mancata presentazione della Balzani a sostegno di Sala a Milano.
Una scissione nei fatti, poi si vedrà se prenderà forma e in che modo, è dunque in atto. Se a Roma, Napoli, Milano verranno lanciati e appoggiati candidati alternativi a quelli ufficiali, difficile che poi le divisioni non assumano le forme di stampo ligure e cofferatiano. Certo D’Alema ritiene che il Pd renziano si stia indebolendo e non rafforzando nella ricerca di consensi a destra, ma è evidente, questa è la contraddizione, che rompendo a sinistra si finirebbe per dar ragione alla preoccupazione di Verdini. E cioé ad aprire le porte al fantasma Grillo. Se quest’ultima preoccupazione fosse prevalente appoggiare o anche solo giustificare una scissione potrebbe fare il gioco del nemico numero uno.
D’Alema valuta naturalmente come un affronto l’aver rotto, da parte di Renzi, con la tradizione “ex comunista e dei cattolici democratici”, evoca l’Ulivo e Prodi e qui i socialisti non possono certo seguirlo. Non solo perché a quella tradizione non hanno mai appartenuto e anzi l’hanno considerata una debolezza politica della sinistra italiana, ma anche perché non hanno mai creduto al potere taumaturgico della ricetta ulivista. Quel che accadrà lo vedremo nelle prossime settimane. Certo è chiaro che gli avversari di Renzi hanno tracciato il percorso di guerra che si compone della tappa delle comunali nelle grandi cittá con candidati alternativi e poi del referendum costituzionale ove si lanceranno in molti nei comitati del no. Difficile che alla fine del percorso costoro restino ancora nello stesso partito degli avversari. Deponendo improvvisamente l’ascia di guerra.
Mauro Del Bue
Mauro Del Bue
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