Il primo maggio di ieri e di oggi
Il primo maggio, festa del lavoro, è una festa socialista. Venne ufficialmente proclamata dall’Internazionale socialista a seguito dei morti di Chicago che nei primi giorni di maggio del 1886 manifestavano pacificamente per le otto ore di lavoro, anche se nello stato dell’Illinois quella legge era gia stata approvata nel 1867. Quella manifestazione era stata anticipata dalla dimostrazione del 25 settembre del 1882 che si tenne a New York con l’obiettivo delle otto ore di lavoro. Anche in Australia, i lavoratori avevano rivendicato una giornata fatta di otto ore di lavoro, otto di riposo, otto per l’istruzione. In Europa la giornata del primo maggio venne lanciata proprio sul tema delle otto ore a partire dal 1890. Si celebrò la festa quasi cladenstinamente in Italia e furono pochi i lavoratori che ebbero il coraggio di assentarsi dal lavoro. Durante il regime crispino le manifestazion furono bandite e i socialisti, dall’estate del 1894 al 1896, furono perseguitati. Il partito nato a Genova nel 1892, che si trovò a congresso anche l’anno dopo a Reggio Emilia, fu costretto a rinviare il suo congresso di Imola, che doveva svolgersi nella città di Andrea Costa nel 1894, e si ritrovò clandestinamente a Parma l’anno dopo.
Le grandi manifestazioni del primo maggio si conciliarono cosi con obiettivi di democrazia e di giustizia sociale che trovarono il loro approdo nella fase giolittiana dei primi anni del novecento dopo le sanguinose repressioni del 1898 e le leggi speciali del governo Pelloux dell’anno dopo. In quel biennio finirono in carcere i più prestigiosi esponenti del Psi, da Filippo Turati, ad Anna Kuliscioff, da Leonida Bissolati, che dirigeva l’Avanti a partire dalla sua fondazione, nel 1896, a Camillo Prampolini. In Italia si raggiunse l’obiettivo delle dieci ore, si sanzionò il lavoro dei bambini, si stabilirono importanti normative di protezione sociale anche per le donne, grazie soprattuttto alla tenace azione di Anna Kuliscioff. Resta il fatto che le otto ore di lavoro verranno approvate attraverso una legge del 1923, quando presidente del Consiglio era Benito Mussolini, che in quel caso non si era del tutto dimenticato il suo passato socialista.
Ma mentre il fascismo dominuiva l’orario di lavoro aboliva la festività del primo maggio, anticipandola al 21 aprile, Natale di Roma. L’esaltazione del nazionalismo che celebrava in una data fittizia la nascita della capitale d’Italia era cosí conciliata con la festa del lavoro. Gli antifascisti approfittavano del primo maggio per sottolienarne in silenzio e in forme diverse non solo il suo originario valore socialista, ma anche il suo carattere antifascista. Solo nel 1945 il primo maggio venne ripristinato nella sua versione originaria. E purtroppo macchiata dal sangue di Portella della Ginestra, località in provincia di Palermo, due anni dopo, dove Salvatore Giuliano e la sua banda (su ordine di chi?) spararono sui lavoratori procurando undici morti e cinquanata feriti. Da allora l’accenno a Portella nei successivi primi maggio divenne d’obbligo.
Da qualche tempo la festa del lavoro viene celebrata con grandi concerti. Da vent’anni non assume più il suo valore puramente rivendicativo, esaltando solo quello celebrativo. Oggi dobbiamo rivendicarne il significato primo, intendendola come festa del lavoro, e soprattutto come festa per il lavoro. In Italia quasi il 50 per cento dei giovani è senza occupazione. Una parte cospicua delle nuove generazioni sono costrette a espatriare per vivere. I vincoli europei, il prevalere della finanza, la crisi della politica hanno creato un presente in cui il debito pubblico continua ad alzarsi, mentre lo sviluppo stenta e l’occupazione non aumenta. C’è tanto da fare, ancora, per affermare quegli ideali di solidarietà che animarono l’inizio di un grande movimento ottocentesco, che ha combattuto lungo il secolo ventesimo, e che oggi deve rialzare con orgoglio le sue insegne. La lotta per il lavoro è un grande obiettivo politico socialista. Nel mondo, in Europa, soprattutto in I
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