Ma Renzi non dica che l’Italia non è in guerra
Come volevasi dimostrare, e come l’Avanti aveva anticipato dopo la strage a Charlie Hebdo e al Rataplan, la guerra del terrorismo è all’Occidente peccaminoso e ai popoli arabi che non gli dichiarano guerra. Non c’era bisogno del bagno di sangue a Dacca, sangue prevalentemente italiano, per rendersi conto che i terroristi non fanno sconti ai paesi meno impegnati militarmente contro il Daesh. C’era già stato il martirio di italiani nel museo di Tunisi. Così come dopo il 13 novembre c’erano stati gli attentati all’aeroporto di Bruxelles, poi un escalation allucinante di terrore, che ha colpito una scuola americana, fino all’aeroporto di Istambul, per finire a Dacca.
Pierluigi Battista scrive nel suo editoriale di oggi sul Corriere: “Prima di Dacca hanno colpito discoteche, night-club, cinema, teatri, ristoranti, stadi, spiagge, mete di vacanza e di turismo, caffè, alberghi. Persino musei, come a Tunisi. Non c’è luogo della Terra e delle metropoli occidentali che non sia potenziale bersaglio di una guerra infinita. Ma noi non vogliamo capirlo. Pensiamo che capirlo ci faccia male, che ci possa costringere a scelte che non vorremmo mai compiere. Dedichiamo solo un fugace pensiero alla lontana Nigeria dove gli assassini di Boko Haram hanno manipolato povere bambine come martiri della fede da far saltare in aria negli attentati suicidi. Pensiamo di potercene disinteressare se nel cuore di Tel Aviv gli attentatori colpiscono bistrot e caffè frequentati dagli studenti. A Hebron hanno appena ammazzato a coltellate una ragazza di 13 anni ma nei media occidentali la notizia è stata in gran parte ignorata. Non vogliamo più sapere cosa ne è stato dell’aereo russo colpito nei cieli dell’Egitto”.
Peggio. Assumiamo due atteggiamenti entrambi correi. Il primo è quello autoaccusatorio, secondo il quale se il terrorismo islamista colpisce in questo modo feroce e barbaro è colpa nostra, del nostro passato colonialismo, della guerra in Iraq e in Afghanistan, dei bombardamenti in Libia e in Siria e poi sullo stato islamico. Follia terzomondista che finirà per seppellirci. Gli errori degli Usa e dell’Occidente sono sotto i nostri occhi. Può anche essere che abbiano incentivato giovani alla jihad. Ma quest’ultima è precedente a tutti quei conflitti, basti pensare all’11 settembre e ad Al Kaida, e affonda le sue radici non nella povertà e nell’umiliazione, tanto è vero che la gran parte dei suoi adepti appartiene a un ceto medio alto, come confermano i requisiti dei carnefici di Dacca, ma in una lettura integralista e faziosa del Corano.
Il secondo atteggiamento è quello opportunistico. Noi non dichiariamo guerra a nessuno. Ci teniamo appartati. Così speriamo che continuino a colpire altri e non noi. Non è così. Il mondo è globale. Il mondo siamo noi e ci appartiene. Se colpiscono un francese colpiscono un italiano. Tanto è vero che nel vile macello di Dacca non han chiesto le nazionalità ma solo se qualcuno conosceva il Corano. Agli ignoranti tortura e poi taglio del collo col machete. No, non possiamo continuare a guardare e rimandare. Io non sarei così ottimista come Renzi quando sostiene che “vinceremo”, come cantavano negli anni settanta gli Intillimani a proposito del Cile. Per vincere bisogna combattere e se la Siria non è caduta in mano al Daesh è perché Putin ha deciso di combattere. L’imperativo di conquistare il territorio in mano all’Isis procede molto lentamente e in un rimpallo di responsabilità e di accuse reciproche della comunità internazionale. Speriamo che l’eccidio italiano di Dacca consenta all’Italia di svolgere quel ruolo attivo sullo scacchiere mediterraneo che è ancora latente. Senza fuga dalle responsabilità, senza tatticismi e giochi di nascondino.
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