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Il 1992 socialista. Il crollo, quarta puntata

26 Settembre 2016 1.539 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Il complotto e la rivoluzione fallita

Mentre anche a Reggio avevo lanciato (per tutta l’Emilia-Romagna) l’idea di un laboratorio comune tra Psi e Pds alla luce di una consolidata tradizione comune e per questo venni duramente redarguito da qualche dirigente provinciale del mio partito, a Roma sostenni l’iniziativa di “Sinistra di governo” composta dai riformisti del Pds, ma anche da Claudio Petruccioli e Massimo Luciano Salvadori e da Signorile, Formica, Manca, Aniasi, Raffaelli, Spini, en attendant Martelli. Anzi mi trovai stretto tra l’attesa di Martelli, col quale parlavo ogni giorno, e le pressioni di Manca e Formica.

Votiamo convinti a favore di Giorgio Napolitano che sostituisce Scalfaro alla presidenza della Camera e nel Psi nasce un’area critica nei confronti dell’immobilismo di Craxi, anche se forse nacque nel momento sbagliato. Era difficile che una posizione critica nei confronti di Craxi potesse sorgere prima delle elezioni. Nessuno aveva il coraggio di rischiare la candidatura. Bisognava tuttavia farla nascere nel 1989. Dopo le elezioni la contestazione affiorò quando era tardi e mentre il Psi, e Craxi in particolare, erano oggetti di una forte incursione politico-giudiziaria. Tale contestazione finì tuttavia proprio nel momento in cui Craxi venne raggiunto dal primo avviso di garanzia. Dunque durò praticamente dall’estate al dicembre del 1992.

Non capivo perché Craxi non si fosse dimesso. Perché non avesse lui stesso favorito il rinnovamento. Perché non avesse accettato la presidenza del partito con Martelli segretario. Una soluzione che avrebbe dato l’immagine di un partito capace di rinnovarsi e di mantenere la sua unità. In fondo sedici anni non erano pochi. Mai nessuno nel Psi aveva saputo resistere tanto, neppure Nenni. Perché, dopo un mezzo insuccesso elettorale e mentre il mondo intorno a noi cambiava così velocemente, Craxi non sentiva l’esigenza di lanciare una nuova sfida affidandosi un altro compito? C’era la questione della presidenza del Consiglio e va bene. Ma una volta nominato Amato perché Craxi non aveva favorito il rinnovamento? In fondo avevo pensato a Craxi come a un generale della vittoria e mi era difficile vederlo nel ruolo di colui che si difende a stento, senza argomenti, con un Psi ormai all’angolo. Pensavo francamente che avrebbe anticipato lui il suo tramonto. Mi ero sbagliato. Era difficile, maledettamente complicato, iniziare una lotta interna contro Craxi. Non era neppure giusto per tutto quello che il nostro leader aveva rappresentato per noi, per la nostra vita, per i nostri successi, per la soddisfazione delle nostre ambizioni.

Eppure Craxi, che era stato il valore aggiunto del Psi per tanti anni, non poteva diventare un problema, trasformarsi da colui che aveva rilanciato un partito che sembrava morto nel 1976 a colui che adesso contribuiva al suo inesorabile declino. E non accorgersene, non volersene accorgere, era anche peggio. Personalmente ero quotidianamente investito da una duplice esigenza, che diventava contrasto insanabile, anche di coscienza. Come preservare Craxi e la lealtà doverosa verso di lui e come contribuire a rinnovare un partito che non aveva colto il senso del cambiamento epocale che avevamo vissuto negli ultimi tre anni, e che sentivamo appesantito, privo di idee e che rischiava di finire all’angolo del gioco politico. Anzi mi ero convinto, e lo dichiarai in più occasioni, che il Psi stava finendo da solo senza un immediato e anche traumatico processo di rinnovamento, non solo di uomini, ma di idee, di linea politica, di programmi. E a chi mi diceva che bisognava restare uniti se no il Psi rischiava di finire, ribattevo che il Psi rischiava di finire davvero se non si rinnovava. Voleva l’unità socialista e continuava a governare insieme alla Dc, voleva la grande riforma e aveva assegnato ad altri il timone del cambiamento istituzionale, voleva il rinnovamento della politica e non riusciva a rinnovare se stesso. Sbatteva la testa contro il muro e continuava ad incolpare il muro. Per molti di noi questo contrasto diventava un dramma e certo per me lo fu. E l’incertezza di Martelli, il suo timido e spesso compresso dissenso che non si trasformava ancora in un vero e proprio conflitto politico aperto, lo testimoniava.

Tutto mi sembrava tremendamente appesantito, invecchiato, ammuffito. I deputati del Psi che si stringevano ancora acriticamente attorno a Craxi come a un timoniere infallibile senza avvertire che stava affondando la nave, lo stesso Craxi che non sopportava il dissenso interno e cercava di soffocarlo in ogni modo e non si accorgeva che stava soffocando lui e tutto il Psi. Forse nessuno mostrò allora la lucidità necessaria. Nessuno capì il dramma incipiente. Ma anche se qualcuno avesse intuito quel che stava preparandosi, credo che sarebbe cambiato molto poco. E anche se non ci fosse stato dissenso interno non sarebbe cambiato assolutamente nulla. Il destino era già segnato. E forse anch’io sbagliai, noi tutti che assumemmo quell’iniziativa di lotta interna, a pensare che il partito si potesse ancora salvare.

La magistratura aveva dichiarato guerra con l’appoggio del sistema dell’informazione e col consenso (indotto o no poco importa) della stragrande maggioranza del popolo italiano.

Fu complotto? Fu anche complotto. Come spiegare innanzitutto l’improvviso cambiamento di linea della magistratura nei confronti della politica? Prima assolutamente passiva e accondiscendente e poi aggressiva e demolitrice. E come spiegare la linea d’intervento giudiziario che piano piano si rivelò assolutamente a senso unico contro i partiti di governo evitando completamente di intralciare quelli di opposizione, sfiorandoli appena? D’altronde la stessa natura di un pool che dava indicazioni o veri propri ordini alle procure di mezza Italia era di per sé un fatto politico, una fonte di iniziativa e di coordinamento, che implicava discussioni su comportamenti e linee di intervento. Un partito-pool, nel quale come confessò candidamente Gerardo D’Ambrosio, c’era anche una destra, Tiziana Parenti, oltre che evidentemente un centro e una sinistra. Fu anche complotto, ma non solo.

Fu anche rivoluzione. Cioè la posizione assunta dalla magistratura rispecchiava un’ansia autentica di cambiamento che da qualche anno ormai s’era affacciata nel ventre del Paese a seguito della caduta del comunismo che aveva azzerato non solo i vecchi contrasti, ma anche le tradizionali adesioni. E assieme alla caduta dei muri e dei veti s’era affacciata anche un’esigenza reale di carattere economico da parte dei ceti produttivi del Nord che non sopportavano più, assieme al peso di un fisco che si faceva sempre più pesante, anche l’idea di uno Stato spendaccione e di un sistema politico in larga parte da mantenere. Fu anche rivoluzione, anche se, secondo me (e credo ormai secondo tutti) fu rivoluzione fallita, completamente fallita, perché non ci sarà questione sulla quale la cosiddetta seconda repubblica nata da Tangentopoli potrà essere giudicata migliore della prima. Fu ad un tempo complotto e rivoluzione fallita. Ma fu anche, per i più, la scoperta di un sistema corruttivo che andava oltre le previsioni e che spesso mischiava la ragion politica con la ragion personale. Così ad ogni rivelazione scattava l’indignazione e l’irritazione per una politica corrotta. L’operazione non riuscirà, a tal punto che da quel bisogno anche autentico di cambiamento e di moralizzazione germoglierà una politica assai peggiore, una morale ancor più mortificante e una democrazia ben più monocratica. A tal punto che l’opinione pubblica oggi, e son passati venticinque anni dall’esplosione di Tangentopoli, assume nei confronti del sistema politico una posizione ancor più negativa e aggressiva di quella che non assunse allora.

Amato presidente del Consiglio, i corsivi di Craxi

Tornando ad allora pensai che qualcosa bisognasse fare. E per quanto mi riguarda presentai, tra giugno e luglio, due proposte di legge. Una sulla riforma dei partiti e sul loro finanziamento (statuti obbligatori, incompatibilità, obbligo di rappresentanza delle minoranze, divieto per i segretari amministrativi di avere incarichi elettivi, distacco non retribuito per i dipendenti pubblici eletti, possibilità di donazioni ai partiti deducibili, limite di 100 milioni delle spese elettorali e altro), l’altra sugli appalti (istituzione di un organo centrale di controllo e di indirizzo sui grandi appalti, limitazione alle trattative private, commissioni composte mediante sorteggio e altro ancora).

Mentre di tutto questo si parlava Giuliano Amato è presidente del Consiglio. Craxi aveva affidato a Scalfaro un tris di nomi (Amato, De Michelis e Martelli) precisando che i designati non erano solo in ordine alfabetico. Martelli era accusato di avere sponsorizzato la sua candidatura assieme a Vincenzo Scotti (come suo vice) dal presidente della Repubblica, anche se gli interessati hanno sempre smentito.

Amato è presidente del Consiglio di un quadripartito (Dc-Psi-Psdi-Pli), con Pri, Pds, Verdi e Msi all’opposizione. Martelli resta alla Giustizia, Franco Reviglio è al Bilancio, Carmelo Conte alle Aree urbane, Carlo Ripa di Meana all’Ambiente, Margherita Boniver al Turismo e spettacolo. L’indipendente Alberto Ronchey, su segnalazione del Psi, è ai Beni culturali. Per il Psdi Ferdinando Facchiano è alla Protezione civile e Maurizio Pagani alle Poste.

La Cecoslovacchia si divide in due e anche il Psi ci prova. Craxi lancia un breve documento per raccogliere le firme dei parlamentari. Vuole sapere quanti stanno con lui. Formica si oppone e non lo firma e neppure Manca e Signorile. Anch’io mi rifiuto di farlo. Sto con Craxi per ciò che riguarda gli attacchi ingiusti della magistratura e di firme, precisai, su questa questione gliene avrei regalate due, ma non sto con Craxi quando pretende di iniziare un confronto politico interno con una firma. Le firme alla fine saranno 125 su 153.

Il 3 luglio Craxi vuole parlare alla Camera sul tema del finanziamento irregolare e illegale ai partiti. Lo fa con un certo puntiglio e afferma: “Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale” (1). La Lega applaude ironicamente, ma anche in assenso all’affermazione ritenuta dall’oratore paradossale.

Anche Gianni De Michelis viene raggiunto da un avviso di garanzia, mentre viene arrestato Salvatore Ligresti, inquisiti l’ex vice segretario Dc Silvio Lega e il deputato Bruno Tabacci. Ormai in aula non si parla e non si vota su altro. Le richieste di autorizzazione a procedere non si contano. C’è anche chi vuole procedere contro alcuni deputati per voto di scambio, un reato che in campagna elettorale risulta difficile non aver commesso. E in prima fila s’avanzano nuovi personaggi. Non solo Orlando e Dalla Chiesa, ma anche il giovane napoletano Pecoraro Scanio e il siciliano Rino Piscitello. Tutti votati alla guerra santa contro i deputati inquisiti e inquisibili. Alla categoria degli inquisibili appartenevamo tutti. Più tardi anch’io sarò definito da un giornale locale come un deputato socialista “uscito, per ora, pulito dalla tempesta di Tangentopoli“ (2). Con quel “per ora” appiccicatomi addosso come un destino inesorabile che attendeva tutti i socialisti, dunque anche me.

La Lega prepara il suo cappio. Nella annuale festa di Cuore, che si svolge a Montecchio, i cinquemila ritmano “chi non salta socialista è” (3). Nello stesso giorno però l’associazione riformista Valdo Magnani riunisce i pidiessini e i socialisti e tra loro ci sono Luciano Guerzoni, Massimo Luciano Salvadori e Rino Formica. Oltre a Vincenzo Bertolini partecipano anche Ivanna Rossi e Otello Montanari (4). E c’è anche il segretario del Pds Lino Zanichelli.

A Palermo, dopo Falcone, viene assassinato anche Paolo Borsellino assieme a cinque agenti di scorta. Si apre un cratere nel cuore della città e attorno curiosi e nuovi, e anche improvvisati, adepti della guerra alla mafia. Ormai non c’è più distinzione. La lotta alla mafia e alla corruzione politica sono tutt’uno. Craxi cerca di sfidare il mondo e alla Direzione di inizio agosto nomina De Michelis, appena raggiunto da avviso di garanzia, vice segretario del partito e compone una segreteria con soli uomini fidati. In tanti pensano che la mia esclusione sia un esplicito fendente a Martelli. Me lo confessano i giornalisti Minzolini, Maria Teresa Meli e Aldo Cazzullo poco dopo. La verità è che nessuno mi aveva proposto di entrare in segreteria. Nel mio intervento avevo peraltro esplicitamente dichiarato la mia “sentita solidarietà al segretario del partito, per la campagna aggressiva e ingiusta a cui è stato sottoposto” (5). E anche il pieno sostegno al presidente del Consiglio. Avevo poi toccato la questione della legge elettorale sostenendo: “Il vecchio sistema sta crollando perché dopo il 1989 non ha più giustificazioni politiche. E’ saltata la dialettica fondata sul contrasto comunismo-anticomunismo. Quella fondata sul contrasto tra riformisti e conservatori tarda a nascere per egoismo e cecità. La legge elettorale è uno strumento, ma anche un stimolo e un incentivo per favorire processi di aggregazione” (6). Il 18 agosto, poi, in occasione del centenario (il Partito dei lavoratori venne fondato a Genova nelle giornate di ferragosto del 1892), la “Gazzetta di Reggio” volle pubblicare un mio lungo articolo per ricordare il congresso fondativo.

E mentre ci godiamo (per modo di dire, vista la situazione del partito) le vacanze, arrivano i corsivi di Craxi su Di Pietro pubblicati dall’Avanti, quel che Formica definirà il poker. Per quanto mi riguarda “manifesto le mie riserve e una viva preoccupazione” (7) se le prove contro Di Pietro son quelle esposte dai corsivi. Mi sento fortemente preoccupato per il futuro del partito, che vedo dissolversi sotto i nostri occhi, brancolare nel buio, reagire in modo sbagliato all’offensiva della magistratura. Senza perizia, senza buon senso, con crociate stile armata Brancaleone. Non si può andare alla guerra con le cerbottane. Bisognerebbe separare il marcio che c’è nella politica dal buono, e questo anche nel Psi. Non si può difendere tutto. E difendendo tutto si rischia di gettare a mare tutto. Nel Psi, anche a Reggio, succede. Da un lato alcuni difendono a spada tratta Craxi, dall’altro c’è anche chi si schiera addirittura dalla parte di Di Pietro come il vice segretario Marcello Stecco che propone una marcia in suo favore e il segretario dei giovani socialisti Davide Vasconi che fa pubblicare un manifesto favorevole al piemme milanese. Alcuni socialisti doc (Dino Felisetti, Sergio Masini, Angiolino Brozzi e William Reverberi) promuovono la cosiddetta “marcia degli onesti”, che si trasforma in una manifestazione da tenere al parco Pertini di Cavriago. A livello nazionale Ruffolo sostiene che è una brutta pagina per il Psi e Signorile vede il partito “chiuso in un angolo come un pugile suonato” (8).

Con Martelli e Rinnovamento

Martelli é negli Usa, mentre da Roma chiedo di svolgere un congresso straordinario, e afferma che parlerà quando tornerà in Italia. Poi, come un fulmine in un cielo in tempesta, leggo sui giornali il disperato, tragico gesto di Sergio Moroni che si toglie la vita sparandosi alla gola, dopo l’inizio di procedimenti giudiziari nei suoi confronti e dopo che s’era sentito isolato e attaccato anche dai compagni di partito. Piango un amico oltre che un compagno. Aveva condiviso con me il commissariamento lombardo. Avevamo una comune visione di molte cose. Anche lui era stato sospettato di non essere un ortodosso. Vigilato a vista.

Il suo gesto pone il problema della crudeltà delle indagini che diventano una condanna preventiva per l’opinione pubblica e anche per i giornali. E nei commenti di qualcuno, anche di un magistrato del pool, la crudeltà diventa insopportabile cinismo. Arriva subito dopo la discesa in campo di Martelli con la sua intervista a Panorama, che diventa una specie di manifesto per il rinnovamento e la salvezza del Psi. Scrive la giornalista Luisa Gabbi sulla “Gazzetta di Reggio”: “Ci si potrebbe quasi chiedere se è Del Bue che sta con Martelli o se è Martelli che sta con Del Bue” (9), visto che alcune posizioni erano state anticipate da me, mentre Martelli era ancora silenzioso. La linea politica di Martelli è di unire la sinistra socialista e anche le forze democratiche di tradizione liberaldemocratica e ambientalista, di portarsi in prima fila sulla battaglia delle riforme istituzionali ed elettorali, di realizzare una grande autoriforma del partito, perché bisogna “ridare l’onore ai socialisti”. Commentai: “Spero che ci riesca” (10). Perché i socialisti tutti, i semplici militanti erano i più ingiustamente offesi, si sentivano al centro di una campagna di criminalizzazione che durerà anni. La peggiore delle vergogne subite nella loro lunga vita. E’ una prospettiva che attrae e convince e a Reggio la stragrande maggioranza del comitato direttivo è con noi. Ma è tempo di festa, anche se è una festa triste, di confronto politico serrato, di poca musica, con pochi balli e cori e sorrisi al lambrusco. A Cavriago si svolge per la prima volta la kermesse socialista con una serie di dibattiti impegnativi (saranno della partita anche Marco Pannella, Enzo Bettiza, Carlo Ripa di Meana, Ottaviano Del Turco, Enrico Manca). E il tutto si conclude con la manifestazione indetta dai cosiddetti “socialisti onesti”, definizione che a me non piaceva perché nessuno aveva il diritto di considerare gli altri disonesti. Vi partecipo con la convinzione di portare il discorso sulla politica. Concludendo la manifestazione, a cui partecipano oltre seicento socialisti non solo reggiani e che viene seguita dalla stampa nazionale, sostengo: “Non possiamo accettare la criminalizzazione di Craxi, le lezioni, che provengono da ogni parte, di cannibali interessati. Allo stesso tempo non possiamo arroccarci a difesa di una cittadella che prima o poi verrebbe espugnata” (11). A mio giudizio dovevamo riconoscere le nostre colpe (quella di non aver eliminato mascalzoni e ladri e di essere diventati agli occhi della pubblica opinione il partito della conservazione). Dovevamo ricollocare il Psi sul versante del rinnovamento. La fantasia, la cultura, la versatilità di Martelli erano indispensabili. Lo registravo ogni volta che Claudio si presentava in un dibattito pubblico o in una trasmissione tivù. Poteva essere lui il nuovo leader della sinistra socialista e democratica, non del solo Psi. Nel Psi iniziammo a organizzarci. All’inizio erano due i gruppi che si rifacevano a Martelli, uno diciamo così, dei giovani, con me, Raffaelli, Tempestini, poi Abruzzese, Salerno, Sanguineti, quasi tutti quarantenni. Poi c’era un secondo gruppo formato dai più anziani Formica, Manca, Dell’Unto, Signorile, che portava con sé l’intera sinistra. Più avanti si aggregheranno anche Giulio Di Donato, allora vice segretario del Psi, Angelo Tiraboschi e Nicola Capria.

Tutti a Genova. Alla prima iniziativa che promuovemmo il 12 settembre nel capoluogo ligure per celebrare il centenario del Psi, in un teatro gremito all’inverosimile, c’erano anche Ottaviano Del Turco, Carlo Ripa di Mena, unico ministro, Gianni Baget Bozzo, Giacomo Mancini, schierato allora su posizioni un po’ troppo anti craxiane, e perfino Gianfranco Funari. Intanto il Psi toglieva il veto al Pds sull’ingresso nell’Internazionale socialista. L’idea di De Michelis, secondo il quale l’operazione avrebbe poi fruttato un atteggiamento diverso del Pds sulla vicenda di Mani pulite, non diede i risultati sperati. Anzi li diede solo per pochi giorni poi, con l’intensificarsi delle operazioni giudiziarie, anche il Pds ritornò alla sua linea giustizialista. Martelli volle riprendere nel suo discorso la battuta che mi aveva riservato Giusy La Ganga, a proposito di una zanzara che punge l’elefante (io ero la zanzara) e disse: “Chi vuole continuare a fare l’elefante e definisce un compagno che discute una zanzara, deve sapere che le zanzare si moltiplicheranno tanto da rendere impossibile la prepotenza a qualunque elefante” (12). La Ganga mi diede occasione di commentare: “Venendo da Reggio Emilia temevo che Giusy mi chiamasse pidocchio” (13). La seconda iniziativa fu svolta a Mantova, nel collegio elettorale di Martelli, e si articolò in un comune comizio, in nome dell’unità socialista, del segretario del Pds Occhetto, di Martelli per il Psi e di Carlo Vizzini, segretario del Psdi, in occasione delle elezioni anticipate che si dovevano svolgere per la Provincia. Mantova era un feudo socialista da sempre. Il sindaco di Mantova era socialista e Gianni Usvardi, il senatore nenniano e autonomista da un trentennio, ci accolse in federazione con affetto e solidarietà politica. Al comizio partecipò una folla numerosa di cittadini e gli applausi per noi furono tanti. A cena, Claudio festeggiava i suoi quarantanove anni, incontrammo anche Gad Lerner. Alla fine, però, il risultato fu assai magro. Il Psi dimezzò i voti raggranellando solo poco più del 7%, e così il Psdi che quasi sparì. Il Pds confermò a stento i voti delle politiche. La Lega divenne il primo partito conquistando il 34% dei consensi. Era la dimostrazione che il partito, nel Nord, stava morendo, come Desdemona, che venne soffocata da Otello, interpretato dal grande Placido Domingo, al teatro Municipale di Reggio.

Nel direttivo del Psi reggiano il documento favorevole a Martelli ottiene una maggioranza piuttosto netta e viene votato anche dal segretario Germano Artioli, più tiepido di me sulla linea, ma non da Odescalchi e Innocenti che invece si erano schierati a favore di Craxi (come anche Dino Felisetti), né da Marcello Stecco, perché il documento, a suo giudizio, non era abbastanza anti craxiano.

Dopo Moroni, muore Balzamo

L’ottobre del Psi non sarà come quello russo, ma le divisioni vennero ancora più allo scoperto con l’esplicita richiesta che formulammo di un congresso anticipato a dicembre, che sancisse il cambio del segretario. Intanto Mino Martinazzoli è segretario della Dc dopo le dimissioni di Forlani, e anche questo porta a ritenere non fosse poi sacrilego pretendere analogo avvicendamento in casa nostra.

Il sindacato, intanto, proclama lo sciopero generale contro la finanziaria del governo Amato, che prevede tagli per 90mila miliardi, la più esosa che sia mai stata adottata fino ad allora.

Muore per un infarto Vincenzo Balzamo, segretario amministrativo del Psi, raggiunto da provvedimenti giudiziari. E dopo Moroni anche questa pare una morte troppo violenta. Balzamo era persona gentile e affettuosa. Lo avevano visto recentemente nervoso, preoccupato, disorientato. E’ un altro duro colpo da digerire.

Come procedere con la nostra iniziativa salvaguardando, da un lato, l’affetto e la solidarietà umana nei confronti di tutti i compagni e dall’altro non vanificando un’urgente azione di rinnovamento che potesse tentare di salvare il partito? A fronte di questi e di altri episodi il tema diveniva sempre più impellente e anche angosciante. Non c’era giorno senza che dal cantiere giudiziario milanese venissero sfornate nuove indagini e nuovi inquisiti. Dalle agenzie dei computer di Montecitorio, dove restavamo per ore inchiodati, venivano irradiate continue richieste di decimazione, perché a un avviso di garanzia corrispondeva quasi sempre una dimissione immediata.

Per segnare il nuovo che avanza viene intanto fondata a Roma “Alleanza democratica” con Adornato, Ajala, Bordon. E’ il primo partito astorico dopo la Lega. A me viene in mente che è il momento di stringere i rapporti ad personam coi socialisti di Reggio e li invito tutti i lunedì alle sei di sera in federazione alla sala Prampolini per incontri settimanali. Partecipano in tanti, mi pongono domande, mi incalzano, in molti non comprendono ancora la nostra drammatica situazione. E in tanti si trovano anche a Scandiano per partecipare al funerale di Ivan Medici, già segretario del Psu e vice sindaco di Reggio, da anni colpito da un grave e invalidante malattia. Ivan aveva solo 52 anni. Anche suo padre, il vecchio socialista autonomista Arturo, che avevo conosciuto da ragazzo, era morto per lo stesso male.

Il 30 ottobre in Direzione presentiamo un documento con 23 firme (tra le altre anche Capria, Tamburrano, Tiraboschi, Di Donato oltre a quelle diciamo storiche) su 73 membri. Ma alla fine si decide di spostare il confronto all’Assemblea nazionale del 20 novembre, chiedendo le dimissioni della segreteria e della direzione per quell’occasione, visto che si sarebbe dovuto convocare un congresso. All’accusa che mi veniva rivolta da qualcuno anche a Reggio di avere in testa di abolire il Psi per un nuovo soggetto radical-laico-social-democratico volli ribattere: “Semmai chi rischia di abolire il Psi è chi lo sta portando verso il suo graduale, inesorabile declino” (14). Intanto Craxi, dal suo cilindro e in chiara sfida anti Martelli, lancia Giuliano Amato come suo successore, anche se non si sa quando, e Martelli reagisce: “Nel Psi non ci sono dinastie” (15). La verità è che Amato era presidente del Consiglio e di guidare un Psi in queste condizioni non ne aveva alcuna voglia.

Bill Clinton è presidente in Usa, dove il rinnovamento è di casa, e a Perugia inizia finalmente il processo di revisione per Germano Nicolini, il Diavolo, ingiustamente condannato per il delitto di don Pessina e un piccolo merito lo sento mio. Il 20 novembre Claudio Martelli parla al teatro Ariosto. Arriviamo insieme nel teatro stracolmo, con vessilli socialisti esposti ovunque, ma questa volta, contrariamente a marzo, siamo accolti senza fragorosi applausi e particolari entusiasmi. D’altronde i socialisti sono preoccupati e tutt’altro che allegri. E’ una serata di confessioni, di spiegazioni, di assicurazioni. Martelli viene presentato da Artioli (in sala c’è anche il sindaco di Reggio Antonella Spaggiari e alla presidenza sale anche l’on. Franco Piro). Parlo anch’io che ricordo come in quello stesso teatro si fosse svolto il secondo congresso del partito, nel 1893, che prese per la prima volta il nome di socialista. Martelli volle convincere i socialisti che Craxi sbagliava dal 1987, da quando rientrò al partito dopo la fase della presidenza del Consiglio, rivedendo le convinzioni e i propositi del nuovo corso socialista del Midas. Bisognava dunque passare alla “seconda fase di quello stesso nuovo corso” (16) e costruire l’unità socialista, ma anche l’intesa con La Malfa, Pannella e con gli ambientalisti riformisti per un’unità democratica più vasta. Lo strumento sarebbe l’uninominale maggioritario. Commenta entusiasta il direttore della “Gazzetta di Reggio” Umberto Bonafini: “Martelli, in quanto propugnatore di una grande alleanza unitaria di sinistra trova in Piero Gobetti e in Carlo Rosselli i suoi grandi mentori” (17). Quella grande assemblea di socialisti all’Ariosto non mi aveva convinto. Forse i socialisti reggiani erano ancora più preoccupati di noi. Regnava una sorta di scetticismo e una larvata tendenza a colpevolizzare un po’ tutti, compreso Martelli, compreso me, e non ce n’eravamo accorti. O forse era dura per loro accettare quelle critiche a Craxi e quella sorta di ventesimo congresso socialista con l’elenco degli errori passati. Resta il fatto che s’avvertiva aria di generale delusione e di profonda amarezza.

Ben diversa l’aria che si respirava al cinema Belsito, un teatrino che il Psi aveva acquistato per svolgervi le sua manifestazioni e le assemblee nazionali. Lì ho un ricordo nitido del modo con cui venne accolto il mio discorso. Cercai di dimostrare che i veri craxiani eravamo noi, eravamo noi i continuatori della linea del nuovo corso, volta a rinnovare profondamente, politicamente e culturalmente la sinistra italiana, che eravamo noi gli eurosocialisti, noi che volevamo ancora produrre una grande riforma delle istituzioni, noi che volevamo provare a costruire il mondo nuovo che era nato dopo l’89. E che Craxi, invece, s’era trasformato in una sorta di custode dell’esistente. Fui accolto con simpatia, e Rino Formica s’alzò di scatto per abbracciarmi e mormorarmi qualcosa in pugliese stretto. Anche Martelli si complimentò, più signorilmente. E perfino Giacomo Mancini, che mi telefonerà per invitarmi a Catanzaro perché ai compagni calabresi era piaciuto il mio discorso, volle stringermi la mano. Tamburrano mi confiderà poi che Giuliana Nenni, figlia di Pietro, si era convinta a votare la nostra mozione anche per quel che avevo detto. Martelli parlò di valori e di temi generali. Si mantenne, illustrando la sua proposta politica ed elettorale già descritta, al di sopra delle polemiche spicciole e alle fine, nonostante un tentativo di mediazione di Giuliano Amato, che sulla questione della legge elettorale sostenne che non ci si poteva dividere tra chi proponeva un maggioritario con correzione proporzionale e chi auspicava un proporzionale con correzione maggioritaria, si finì ai voti. La mozione nostra conseguì il 33% dei voti, contro il 63% della mozione Craxi. Anche Valdo Spini volle presentare una sua posizione ottenendo il 4%. Dei reggiani io e Lidia Greci votammo il documento Martelli e invece Amadei (che dovette accogliere le indicazioni del gruppo dell’ex Uds) votò la mozione Craxi, mentre Nando Odescalchi non partecipò al voto. Venerio Cattani, che pure proveniva dallo stesso gruppo di Amadei, votò per la mozione di Martelli. E la cosa mi fece enormemente piacere visto che non solo eravamo uniti da vincoli di antica amicizia, ma anche, sia pur lontani, parenti. Ci ritrovammo così in tanti del vecchio gruppo autonomista schierati con Claudio. Oltre allo stesso Martelli anche Rino Formica, Venerio Cattani, Giuliana Nenni, Carlo Ripa di Meana. E poi Giulio Tremonti, che non era presente, ma aveva dichiarato a Martelli la sua disponibilità a dare una mano al gruppo.

Il Psi al lumicino e Craxi inquisito

Poco dopo una sorta di colpo di grazia. Alle elezioni amministrative parziali del 13 e 14 dicembre il Psi precipita. A Monza dal 17% è ridotto al 5% , a Varese al 4%, anche nel Sud, dove la Lega non c’è, i socialisti sono duramente puniti. Il portavoce di Craxi si lascia sfuggire: “Gli elettori sembrano impazziti” (18), mentre anch’io commento: “Tentiamo di impedire un processo di liquidazione che è già in corso” (19) e il giorno dopo il Pool Mani pulite di Milano invia il primo avviso di garanzia a Craxi, per corruzione, ricettazione e violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti. Alla riunione della Direzione, convocata l’indomani, si concorda che il congresso non serva più. Non c’è tempo. Occorre pensare subito a un nuovo gruppo dirigente. Ma il primo sentimento è quello della solidarietà al segretario. E la riunione della Direzione si conclude all’unanimità. Anche Giuliano Amato parla di responsabilità collettive, Martelli afferma che “non è tempo di polemiche e di lacerazioni, che il Psi è colpito da una crisi gravissima che esige da tutti il massimo senso di responsabilità” (20). Anch’io dichiaro che “a Craxi va espressa solidarietà sincera in una situazione difficile e dolorosa. Al gruppo dirigente del partito va chiesto uno sforzo di unità e di rinnovamento” (21). In quel fine anno iniziano a rivedersi Craxi e Martelli per trovare una soluzione di comune accordo. Si svolgono almeno due incontri nel gennaio del 1993, me lo rivela Martelli, e in uno di questi è Bettino a formulare a Claudio la proposta della segreteria con lui stesso presidente e due vice, due giovani, Nencini e Del Bue. Non se ne farà nulla.

A Reggio sono l’unico esponente politico che prende apertamente le difese del riformista pidiessino Vincenzo Bertolini che viene messo sotto processo come vice presidente regionale della Lega coop da un gruppo di cooperatori evidentemente per le sue scelte politiche a favore dell’intesa col Psi. E aggiungo che “per fugare ogni ombra su ragioni esclusivamente politiche, sarebbe opportuno che a Bertolini venisse manifestata con chiarezza la piena solidarietà” (22). Ma i dirigenti del suo partito tacciono. Poi convochiamo un’assemblea alla sala della Federcoop per discutere con gli iscritti. E in quell’occasione si tocca con mano che “Mani pulite” ha fatto breccia. Il problema non è più la politica, ma la morale. E i dirigenti sono tutti responsabili. Solo la base ha ragione. E’ la base che è stata umiliata. Cerco di dimostrare la bontà delle nostre intuizioni, delle nostre posizioni, delle idee per il futuro. Mi ascoltano in silenzio. E alcuni ne approfittano. Perché in questo tragico contesto nascono anche i profittatori della questione morale, coloro che tentano di emergere adesso perché prima non ci erano riusciti. E allora ecco una nuova schiera di aspiranti dirigenti che s’avanza nella melma per proclamare che occorre una fucilazione di massa, la più larga possibile (per far sì che essi possano finalmente sostituirsi). Che nessuno può tirarsi fuori da quanto è avvenuto e sta avvenendo, che molte teste devono finire dentro il cesto. E’ molto pericolosa questa idea secondo la quale saremmo tutti uguali. Non ci sarebbero colpevoli e innocenti, ladri e persone perbene, chi ha previsto il crollo dopo l’89 e chi invece non l’ha neanche avvertito e ci ha dormito su. Non c’è più differenza. Una sorta di antipolitica d’accatto si staglia e s’allarga, intaccando il corpo o quel che resta del corpo del partito. Non c’è neppure differenza tra il Psi nazionale e quello locale. Che importa se da noi non ci sono socialisti arrestati e nemmeno indagati, non importa. Perché anche noi, secondo costoro, abbiamo sbagliato a selezionare i dirigenti, anche noi abbiamo troppi incarichi, anche noi abbiamo una nomenclatura. Anche noi. Dobbiamo confessare anche gli errori che non abbiamo compiuto. Sembriamo talmente colpiti da doverci dichiarare colpevoli anche se nessuno ce l’ha richiesto. Ci muoviamo contro di noi con un’alta dose di masochismo inconsapevole e di sadismo evidente. Anche se nessun tribunale lo ha fatto. Quasi per farci del male e scaricarci la coscienza. E non è ancora finita. Solo dopo l’avviso di garanzia a Martelli del febbraio del 1993, il giorno prima dell’assemblea nazionale che avrebbe dovuto lanciare la sua candidatura alla segreteria del partito (dopo il ritorno di Silvano Larini in Italia e le sue rivelazioni sul conto protezione), la marea dilagherà.

Note
1) S. Colarizi, M. Gervasoni, La cruna dell’ago, Craxi, il Partito socialista, la crisi della Repubblica, Bologna 2005.

2) G. Franzini, Nilde Iotti e Mauro Del Bue, così lontani, così vicini, in La Voce di Reggio, 29 luglio 1992.

3) Una sera d’estate sognando l’unità, in il Resto del Carlino, 29 luglio 1992.

4) Basta liti, c’è voglia di una sinistra più unita, in il Resto del Carlino, 29 luglio 1992.

5) I lavori in Direzione, in Avanti, 8 agosto 1992.

6) Ibidem.

7) La via Crucis del Psi, in il Resto del Carlino, 30 agosto 1992.

8) Quirinale, Amato a rapporto da Scalfaro, in La Stampa, 1 settembre 1992.

9) L. Gabbi, Vediamo chi ci sta, in Gazzetta di Reggio, 6 settembre 1992.

10) Ricordo dell’autore.

11) Il raduno dei socialisti onesti che intendono ripulire il partito, in Corriere della sera, 7 settembre 1992.

12) Voglio salvare questo Psi in agonia, in La Stampa, 13 settembre 1992.

13) Io la zanzara del Psi, in Gazzetta di Reggio, 15 settembre 1992.

14) Troppo indipendente, in Gazzetta di Reggio,1 novembre 1992.

15) Martelli: nel Psi non ci sono dinastie, in La Stampa, 8 novembre 1992.

16) Martelli: siamo la memoria di Craxi, in il Resto del Carlino, 21 novembre 1992.

17) U. Bonafini, Tra Gobetti e Martelli, in Gazzetta di Reggio, 21 novembre 1992.

18) S. Colarizi, M. Gervasoni, La cruna dell’ago, cit, p. 277.

19) Crollo annunciato, in Gazzetta di Reggio, 15 dicembre 1992.

20) L. Fenderico, Il Partito solidale con Craxi, in Avanti, 16 dicembre 1992.

21) Ibidem.

22) Il siluro, poi il silenzio, in Gazzetta di Reggio, 10 dicembre 1992.

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