Il confronto Renzi-Zagrebelsky
Come è noto sono schierato con convinzione a favore del sì alla riforma costituzionale, anche se non la ritengo la migliore possibile. Tuttavia la giudico meglio dell’attuale bicameralismo paritario, dell’attuale Titolo V, della permanenza del Cnel, delle attuali normative che regolano i referendum. Sono altresì convinto oppositore di questa legge elettorale e prendo atto con favore della nuova inclinazione del presidente del Consiglio favorevole alla sua revisione. Ieri sera ho ascoltato il lungo dibattito televisivo tra Renzi e Zagrebelsky che il bravo Mentana ha messo in onda su La7. Due uomini diversi, due ruoli diversi, due linguaggi diversi. Non sono mai stato preso dai sondaggi e non mi sono mai chiesto chi ha vinto e chi ha perso dopo un confronto politico televisivo.
La mia opinione è che si sia trattato di un confronto impari. Zagrebelsky ha usato la sua esperienza di costituzionalista, la sua pacata profondità, il suo tono misurato a sostegno del no. Renzi ha messo in campo la sua solita grinta, il suo spirito garibaldino, il suo stile da comunicatore. Renzi ha detto una cosa giusta su tutte. Dopo trent’anni di tentativi si mette mano alla modifica del bicameralismo paritario (per la verità prima ancora della commissione Spadolini c’era stato il gruppo di Milano nel 1980), e qualora al referendum prevalesse la posizione del no, tutto rimarrebbe come prima, compreso il titolo V e il Cnel e nessuno per molto tempo si occuperebbe più di riforme istituzionali.
Zegrebelsky ha detto una cosa giusta su tutte. E cioè che le elezioni non sono fatte per vincere. Avrebbe dovuto aggiungere, se non in un sistema presidenziale. E infatti il ballottaggio nazionale esiste solo nei sistemi in cui si elegge direttamente un presidente, come in Francia che è repubblica presidenziale o nelle elezioni comunali quando si elegge direttamente un sindaco. Non esiste l’istituto del vincitore in nessuna legge europea per l’elezione del Parlamento. Queste ultime si svolgono per eleggere deputati, non il governo e neppure il presidente del Consiglio. In Francia è a volte accaduto che le maggioranze parlamentari siano state opposte a quella che ha eletto il presidente, mentre nell’Inghilterra dell’uninominale secca è accaduto che laburisti o conservatori siano stati obbligati a stringere un’alleanza per governare, in Grecia Tsipras è stato costretto a fare maggioranza con un partito di destra, mentre in Germania socialdemocratici e democristiani stanno anche oggi governando insieme. La politica non è il Giro d’Italia, è anche rispetto per la volontà popolare, prudenza, mediazione. Questo culto della politica intesa come gara continua io non la sopporto.
Da un lato sono state opportunamente illustrate le ragioni della riforma costituzionale, dall’altro sono state soprattutto contestate le norme della legge elettorale. Le due cose insieme costituiscono il corpo della nostra posizione politica, favorevole alla riforma costituzionale e contraria a questa legge elettorale. Se prima del 4 dicembre Renzi e il Pd ci chiariranno anche i termini della modifica dell’Italicum allora anche il cosiddetto combinato disposto tra le due cose decadrà e il nostro sì alla prima sarà ancora più convinto. E Zagrebelsy dovrà cercare altri motivi (lasci perdere quello della differenza tra presenti e votanti nell’elezione del presidente della Repubblica, io sono stato elettore di due presidenti, assolutamente inconsistente) per contestare la riforma.
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