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Quando venni denunciato con Fo

14 Ottobre 2016 929 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

La scomparsa di Dario Fo mi evoca tanti ricordi. Quando ero bambino Dario Fo e Franca Rama presentavano Canzonissima. Era il 1962 e per la prima volta la televisione, devo ammetterlo, con un certo coraggio, si era affidata a una coppia già nota per l’adesione al marxismo. La sigla era uno spasso. La canzoncina parlava di un “popolo musicomane che adora i dischi in plastica e aspetta Canzonissima come babbo Natale” e poi “un babbo senza scrupoli che alleva un sacco di canzonette e poi te le fa correre al posto dei cavalli”. Una presa in giro solenne della loro trasmissione. Un pugno allo stomaco per i tradizionalisti e i conservatori. Durò poco e dopo uno sketch televisivo politico vietato dai dirigenti Rai i due lasciarono la televisione. Non solo Canzonissima.

Per anni Fo si dedicò solo al teatro politico. Intendiamoci. Il messaggio, anche durante gli anni del terrorismo, non era tutto oro colato. Anzi, basta pensare al Pinelli “suicidato da Calabresi”, alla violenza che era solo di stato, al gioco allo scavalco a sinistra, fino allo scivolamento su posizioni grilline (ah, deve avere pensato Dario, se al posto di Grillo ci fossi stato io…) molti dei suoi messaggi risultano, soprattutto col senno del poi, fallaci se non pericolosi. Resta il fatto che Fo è stato il più geniale interprete della comicità politica. La prima illustre e grottesca maschera del teatro satirico italiano. Il suo Mistero buffo in grammelot è un capolavoro. Riuscire a farsi intendere dal pubblico parlando una lingua ignota ma di per sé idonea alla trasmissione di situazioni paradossali (penso al suo Bonifacio ottavo e alla scena dei guanti) è trovata di sapienza artistica inimitabile.

Dario Fo, premio Nobel, è dunque un esponente della migliore ars italica. Confesso che l’unico avviso di garanzia che mi è piombato addosso non risale all’epoca di Tangentopoli, ma proprio ad una rappresentazione nella mia città di Mistero buffo. Fo non voleva la polizia in teatro. Per assistere al suo spettacolo bisognava esibire la tessera Arci. E così a suo giudizio si trattava di riunioni private. Quella sera il Municipale esondava di pubblico, in maggioranza studenti. Ad un appello “Fuori la polizia” in centinaia si alzarono e circondarono i poveri poliziotti. Io ero tra loro ma non mossi un dito. Anzi mi limitavo a osservare la scena. In fondo, anche allora, ero un giovane riformista. Venni fotografato anch’io e denunciato assieme a decine di giovani, per “resistenza a pubblico ufficiale” e processato e assolto assieme agli altri. Un’esperienza che mi ha unito, sia pur da posizioni diverse, a quel magico e folle artista che è stato Dario Fo. Un ricordo incancellabile. Vizio o merito di gioventù.

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