Le compagnie del no e del sí
Non mi sentirete mai dire: dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. Trattasi di una delle massime più erronee della nostra cultura. L’identità di una persona è determinata dalla sua essenza, che potrebbe condizionare, e non solo essere condizionata, dalle sue frequentazioni. Questo dovrebbe valere anche in politica. Invece in occasione di questo referendum si sprecano le accuse alle reciproche compagnie degli impresentabili. Quella del no è certo più folta e deriva dal fatto che la riforma costituzionale è stata votata solo dalla maggioranza e che il suo principale partito è in preda a una profonda spaccatura. Così dall’opposizione di sinistra, Sel, varie ed eventuali, si arriva a D’Alema, probabilmente a Bersani, Cuperlo, Speranza, poi a Cesa, a Pomicino, a Dini, a Monti fino a Berlusconi (non a Mediaset), a Salvini e Meloni, per chiudersi con Grillo.
Una brigata multicolore. D’altronde in Parlamento è capitato molto spesso che una legge abbia associato nella sua opposizione un arco che dall’estrema sinistra arriva fino a destra. Dall’altra parte alla maggioranza del Pd, del Psi, di Scelta civica, a tutto il Nuovo centrodestra si associano Pierferdinando Casini, il gruppo di Verdini, Confalonieri. Resta però una certa distinzione tra una opposizione parlamentare e un referendum. Nella storia dei referendum italiani, a cominciare da quello tra monarchia e repubblica, che divise solo la Dc, fino a quelli sul divorzio e l’aborto, a quelli elettorali, fino ai due confermativi di riforme costituzionali, una certa omogeneità ideale e politica teneva. Destra e sinistra erano tutto sommato ancora distanti e in pressoché tutte le circostanze (con qualche eccezione per alcuni referendum elettorali) anche su fronti opposti.
Prendiamo gli ultimi due previsti dall’articolo 138, il primo sulla riforma del Titolo V voluta dall’Ulivo e il secondo sulla cosiddetta Devolution voluta dal centrodestra. Si fronteggiarono in modo compatto centro-destra e centro-sinistra. Senza divisioni e distinzioni. Si dirà, nessuno dei due toccava le funzioni del Senato, visto che sugli altri temi oggetto della riforma costituzionale in pochi trovano oggi motivi di forte dissenso. Parlo del Cnel, dei referendum, dello stesso Titolo V, tanto meno per i capitoli che riguardano l’elezione del presidente della Repubblica e quella del Csm dove si prevedono confini più ampi per le maggioranze. Ma davvero una riforma, tutt’altro che perfetta, del Senato, che riprende molte delle volontà espresse dalle varie commissioni parlamentari nel corso di questi trent’anni, può essere da sé sola foriera di tante tensioni e divisioni?
No. C’è dell’altro, evidentemente. E’ vero, la legge elettorale, il combinato disposto. Questo tema pare oggi in via di soluzione dopo la volontà di Renzi di avviare una sua sostanziale modifica. Ma se anche si cambiasse radicalmente la legge elettorale non credo che muterebbero le collocazioni di ciascuno. Il tema infatti è tutto politico. E’ quello che induce, da un lato, il presidente di Mediaset ad augurarsi, dopo la vittoria del sì, un nuovo accordo di governo tra socialisti e popolari per l’Italia. Maggioranza, se non partito, della nazione. Ed è quello che, dall’altro, sollecita D’Alema, ma anche Bersani, a scommettere sulla sconfitta di Renzi per riprendersi il partito, permettendo a Fassina di sperare di rilanciare un’alleanza di sinistra senza l’incaglio renziano, cosa che consentirebbe a Salvini e Meloni di poter diventare padroni di un centro-destra opposto a una sinistra ritornata post comunista. Un bipolarismo tra sinistra e destra. Ma è quello, soprattutto, di Grillo e dei pentastellati, che potrebbero intestarsi la vittoria del no, la probabile crisi di governo e puntare a nuove elezioni con serie possibilità di vittoria. Non é chiaro cosa giovi tutto questo a Berlusconi. Tanto che molti elettori di Forza Italia paiono orientati a votare sì. Così si potrà sostenere che è rinato il patto del Nazareno. E il fronte del no schiererà la sua nuova formazione degli impresentabili. Che non c’entrano nulla, come poco c’entra il merito della riforma, con il significato di questo referendum.
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