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Il saggio e il giovane capo

26 Ottobre 2016 917 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Pare si chiamino proprio così il ministro Padoan e il presidente del Consiglio Renzi quando si affrontano nelle sedute di Consiglio. E dunque anche le decisioni in materia economica che scaturiscono possono essere interpretate come sintesi di maggiore prudenza, caratteristica dei saggi, e di maggiore coraggio, caratteristica dei giovani. Non é un caso che la manovra di bilancio della quale si discute, e attorno alla quale la Commissione europea ha avanzato talune riserve, sia stata varata dopo un braccio di ferro tra i più coraggiosi e i più prudenti.

Tra i primi oltre al presidente del Consiglio, anche il ministro Delrio, del quale il bravissimo Damilano profetizza su L’Espresso una carriera ancora più luminosa, fino a farlo intendere come il più probabile successore del giovin signore fiorentino, e Franceschini, altro ministro con quotazioni in ascesa e probabile aspirante allo stesso soglio. Tra i secondi il solo Padoan, che però da solo vale dieci. Tanto è vero che poi il taglio finale della manovra risente della sua impostazione. Così siamo arrivati ai 27 miliardi dei quali una parte finanziata a deficit e una parte con copertura fiscali e di spending review probabili, ma non certe.

Resta il fatto che il 2,3 del deficit in rapporto al Pil è un dato di fatto che non ha convinto la Commissione europea, disponibile a concedere margini di flessibilità all’Italia, ma non fino a quella cifra. Ora Renzi ha ragione a ironizzare su rilevi che vanno nell’ordine dello zero uno, zero due per cento. E ad aggiungere che senza le spese per migranti e terremoto l’Italia sarebbe al 2%. E fa pure bene a proseguire con la sua manovra visto che dei rilevi europei son pieni i cassetti dei governi degli altri paesi (la Grecia continua ada avere la più alta spesa europea e la Spagna a sforare di tre punti il vincolo europeo) e nessuno si preoccupa.

Occorre però segnalare come tutto questo potrebbe anche non mutare considerevolmente la situazione italiana. Il Pil prenderà maggior vigore dalle detassazioni previste? La disoccupazione scenderà ancora, dopo il leggero decremento dovuto al combinato disposto Jobs act-detassazione delle prime assunzioni, macchiato però dal proliferare dei vaucher? Il debito pubblico in rapporto al Pil scenderà finalmente, liberando le casse dello stato da un peso sempre più gravoso di interessi passivi? Oggi purtroppo tutti i lodevoli provvedimenti intrapresi a favore delle aziende (taglio dell’Irap, detassazioni delle prime assunzioni, e adesso taglio dell’Ires e detassazione degli investimenti sui macchinari) non hanno rilanciato se non in modo modesto il nostro tasso di sviluppo. Abbiamo chiuso il 2015 e ci accingiamo a chiudere il 2016 ben sotto l’uno per cento, contro una media europea che è quasi il doppio.

Il debito pubblico continua ad aumentare e abbiamo ormai raggiunto il record del 133 per cento, una cifra seconda solo alla Grecia. La nostra spesa continua ad aumentare e oggi si attesta sopra il 50 per cento del Pil, nonostante le promesse di spending. Adesso vogliamo chiudere Equitalia e non si capisce se la chiameremo in altro modo o se la nostra ricerca di evasori sarà più dolce. I dati sulla disoccupazione non sono incoraggianti. Soprattutto quelli sulla disoccupazione giovanile, dove però almeno si registra un primo sensibile calo rispetto al 2014. A dicembre 2015 siamo al 37,9 con un decremento del 3,6 (consideriamo però anche l’abuso dei vaucher) e terzi dietro alle sole Grecia e Spagna, ma molto più alti della media europea, ferma al 22%. Ma sì, ci vuole saggezza, ma molto, molto coraggio. E all’Europa dei vincoli e dei rilievi sullo zero uno per cento, risponderei con gentilezza di risparmiare i soldi dei francobolli.

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