Martelli ha ragione
In un editoriale pubblicato sul Quotidiano nazionale (Nazione, il Resto del Carlino, Il Giorno) Claudio Martelli esamina la situazione politica mondiale e trova che “quello di Renzi è praticamente il solo governo di sinistra rimasto al potere in Occidente, perlomeno il solo, a parte il giovane leader liberal canadese Justin Trudeu, di una nazione importante, una nazione del G8”. Per la verità è ancora in carica il governo socialista in Francia, ma le sue probabilità di vittoria alle prossime consultazioni sono pari a zero e i socialisti dovranno limitarsi ad appoggiare Francois Fillon per scongiurare la Le Pen. Martelli sostiene che “questo aspetto concorre a caricare l’appuntamento del 4 dicembre di un significato e di una portata politica generale e internazionale”.
Si tratta di valutare il livello di incidenza di un trend internazionale che vede ovunque trionfare la rivolta di segno populista alle élites politiche tradizionali al potere o candidate al potere. E questi movimenti ovunque erodono consensi tra le classi popolari e dunque in particolare ai partiti di sinistra. A mio avviso questo è determinato dall’intreccio inestricabile, o forse semplicemente non ancora risolto, tra effetti della crisi economica e fenomeno dell’immigrazione che spesso si trasforma in una guerra tra poveri. In Italia gli approdi politici di questa rivolta sono essenzialmente due, e una volta li avremmo entrambi definiti “di nuova destra”: il polo Salvini-Meloni e soprattutto il Movimento Cinque stelle.
Continua Martelli osservando che “questa circostanza sembra non preoccupare minimamente i suoi (di Renzi) compagni di partito, né quelli rimasti, né quelli fuoriusciti dal Pd. Al contrario i vari D’Alema e Bersani, come i Fassina e Civati, mentre contestano a Renzi di non essere abbastanza di sinistra e preparano i bagagli della scissione nel caso vincano i sì, non si danno pensiero del fatto che la sconfitta di Renzi, al di là delle sue colpe, sarebbe anche una sconfitta del loro partito o schieramento e di quel che resta in Europa della sinistra di governo”. Ragionamento ovvio, come logica la conseguenza. E cioè che la posizione dei dissidenti Pd, potremmo aggiungere anche quella, meno preoccupante, dei dissidenti di casa nostra, aprirebbe le porte anche in Italia alla vittoria dei populisti.
E che la vittoria del no, come sostiene Martelli, non sarebbe quella di Bersani e D’Alema, né tanto meno, aggiungo io, di Bobo e di Biscardini, e nemmeno quella di Fassina e Civati, e ancor meno dell’Anpi e della Cgil, ma di Grillo e in parte di Salvini, è elementare. Berlusconi si aggiunge alla pattuglia dei no, nonostante il voto differente dei suoi amici, da Confalonieri a Briatore, passando per Pera e Urbani, con una strategia di avvolgimento del Pd in chiave di ritorno alla unità nazionale. Personalmente penso che difficilmente in Italia, anche con la vittoria del sì, si possa spostare più a sinistra l’asse politico del governo. La riforma dell’Italicum senza il ballottaggio, come è giusto e opportuno che sia, difficilmente consentirà a una lista o a una coalizione di superare la soglia per ottenere il premio di maggioranza. E la scelta più probabile sarà tra uno scenario di stampo tedesco (o spagnolo) e la vittoria dei populisti all’italiana. Noi dovremmo, col nostro voto, almeno scongiurare quest’ultima sventurata eventualità, come giustamente ci invita a fare oggi Claudio Martelli.
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