Il terrorismo da Berlino ad Aleppo
Non stupisce, come ha giustamente ricordato il presidente della commissione Esteri del Senato Pierferdinando Casini, che si sviluppi una nuova offensiva terroristica in Europa proprio mentre la comunità internazionale é impegnata a sconfiggere lo stato islamico nel suo territorio. Non si hanno notizie recentissime dell’assedio di Mosul che però pare in larga parte conquistato, mentre i civili raccontano delle brutalità commesse dai tagliagola. Rakka é ancora nelle loro mani. E così per mostrarsi ancora forti i terroristi dell’Isis lanciano nuovi massacri, come quello di Berlino, approfittando dell’efficiente uso dei camion, che dopo Nizza sono stati innalzati a strumento di morte.
La strage di Berlino mette in difficoltà la cancelliera Merkel per la sua politica di apertura delle frontiere ai profughi e meno male che il profugo pakistano sospettato di essere il killer del mercatino é stato scarcerato perché inequivocabilmente innocente. Ancora non è stato individuato l’assassino che ha prima di tutto accoltellato e ucciso l’autista del camion, un giovane polacco, impadronendosene e lanciandolo contro gli ambulanti e i consumatori tra i quali una giovane ragazza abruzzese che pare aver perso la vita.
Tutto questo ci riporta d’incanto alla guerra che è in corso e che va combattuta contro il terrorismo con l’azione militare nel territorio occupato tra Iraq e Siria, ma anche con la vigilanza, che non è sempre adeguata (durante le vacanze di Natale sarebbe bene lasciar perdere gli stadi dove i camion non entrano e concentrarsi su tutte le iniziative all’aperto anche da noi) e soprattutto col coordinamento dei servizi a livelli europeo che ancora manca. Mai come di fronte a questo fenomeno che colpisce e unisce l’Europa, si rivela indispensabile sviluppare una politica di maggiore e non di minore coesione, come vorrebbero i cosiddetti partiti e movimenti populisti.
Non possiamo altresì dimenticare che la lotta contro il terrorismo non può trasformarsi in una guerra contro tutti i movimenti di opposizione al regime di Assad, come continuano a ritenere i russi, né in una guerra degli sciiti contro i sunniti, come la stanno considerando gli iraniani. E men che meno può essere combattuta in sfregio a qualsiasi elementare diritto delle popolazioni civili. Da quattro anni la città di Aleppo è divisa in due: la parte occidentale è controllata dai governativi, quella orientale è occupata da diversi gruppi di ribelli appartenenti sia al Free Syrian Army (una coalizione di circa trenta formazioni “laiche”), sia al raggruppamento jihadista composto da Jabhat Fateh Al Sham (ex Jabhat Al Nusra), dagli epigoni di Al Qaeda e dai miliziani dell’ISIS. E’ evidente che la guerra contro i terroristi sia qui praticata come guerra contro tutti i movimenti e anche contro la popolazione civile (250mila abitanti cinti d’assedio).
La tragedia di Aleppo é sotto i nostri occhi in tutta la sua drammaticità. Bombardare ospedali, scuole, abitazioni civili, ammazzare chi tenta di fuggire, nulla ha a che spartire con la lotta al terrorismo e si configura anzi come analogo, spietato metodo di azione. Sulla tragedia di Aleppo sono evidenti le responsabilità del regime siriano che mostra il suo volto incompatibile con quello della democrazia.
Un appello é stato lanciato da Herny Bernard Levy e dai Radicali italiani perché vengano denunciate le violenze e colpiti i responsabili. Finora l’Onu ha avuto le mani legate per i veti russi. “La storia non ci assolverà facilmente, ma questo fallimento ci impone di fare ancora di più per offrire alla gente di Aleppo la nostra solidarietà in questo momento”. Queste le parole di Ban Ki Moon alla riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Restare con le mani in mano di fronte a un genocidio del genere, no, non ci assolverà certamente.
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