C’era una volta un teatro, poi due..
C’era una volta un teatro e non si chiamava Ariosto o Politeama Ariosto, come per anni venne battezzato. Si chiamava teatro di Cittadella perché si affacciava sulla struttura militare preesistente i giardini pubblici. Si chiamava cosi anche l’attuale via Crispi, e cioè via di Cittadella, prima di divenire, dopo l’inaugurazione del Municipale, nel 1857, via del Teatro nuovo, poi via Cavallotti e solo infine via Crispi. Il teatro venne edificato tra il 1740 e il 1741 su progetto di Stefano Cugini e la sala aveva forma a ferro di cavallo come tutti i teatri sei-settecenteschi. Quello alla Scala di Milano di fine settecento fu il primo in Italia che anticipò quelli di forma ottocentesca dotati di cinque ordini di palchi e delle logge per le masse popolari che al teatro iniziarono ad accostarsi col trionfo del melodramma. Il teatro di Cittadella aveva un ingresso con porticato che anche adesso parzialmente si conserva sull’attuale via Cairoli, ma un incendio lo distrusse nel 1851. Che fare, si pensò? Rifarlo, come avverrà secoli dopo per la Fenice di Venezia e per il Petruzzelli di Bari? Il podestà di Reggio Carlo Ritorni era un uomo di cultura. Ma anche un incallito decisionista. E meno male. Pensò a un teatro nuovo. Oltretutto da poco aveva chiuso i battenti la vecchia Cittadella. Da lì si sarebbe potuto riconvertire parte del materiale, fare anche un bel parco nel cuore della città e dotarlo nel mezzo di un ippodromo e a fianco dunque via al nuovo teatro. Ritorni non pensò a un architetto qualsiasi, ma a Cesare Costa, un professore e architetto modenese di 50 anni che a Reggio aveva ottenuto già diversi incarichi per fornaci e foro boario. Costa ottenne il progetto nello stesso 1851, pochi mesi dopo l’incendio del teatro di Cittadella e la cosa non può che destare stupore e ammirazione. L’amministrazione comunale decise infatti l’edificazione del nuovo teatro in pochissimo tempo, senza burocrazie lentocratiche. Interessante rilevare come la scelta del luogo fosse, sia pure in una direzione orizzontale rispetto all’ingresso nella piazza dall’attuale via Crispi, in perfetta sintonia col lato prospiciente la vecchia Cittadella e poi i giardini. Costa utilizzò come coordinatore dei lavori l’architetto Tegani, al quale sarà poi affidato il compito di realizzare il nuovo teatro di Novellara, non a caso simile al nostro Municipale, che all’inizio venne battezzato come Comunitativo. Le spese, ingenti, furono in larga parte a carico delle famiglie reggiane abbienti, che acquistarono i diritti di proprietà dei palchi, come nel 1994 avverrà per la costruzione del nuovo stadio attraverso gli abbonamenti pluriennali e come era avvenuto negli anni venti quando una società privata di sportivi reggiani edificò, nell’area poi adibita ad aeroporto, il nuovo Polisportivo, sottraendo lo scomodo e pericoloso ippodromo ai giardini pubblici. Senza diffondermi sulle scelte d’impostazione artistica del teatro (il colonnato che verrà maldestramente ripreso nel nuovo isolato San Rocco negli anni cinquanta, le statue, gli affreschi, il sontuoso lampadario, il sipario e il comodino) dobbiamo sottolineare che la gestione del teatro svolgeva quasi esclusivamente attività operistica, tanto che ad inaugurarlo nel 1857 fu Il Vittore Pisani del reggiano Achille Peri, seguito, tra le altre, da rappresentazioni di Simon Boccanegra, a cui Verdi, presente in teatro, volle aggiungere una nuova scena, sostando diversi giorni a Reggio alloggiato nella locanda Il Cavalletto, nell’omonima via. Fu polemica sul teatro dei ricchi da parte dei primi socialisti, soprattutto per i contributi comunali che venivano erogati alle varie società di gestione. Anche per questo, per svolgere altre attività culturali, come la prosa e la concertistica, ma anche l’operetta e addirittura gli spettacoli circensi, che si mise mano alla riedificazione, in realtà fu un’edificazione ex novo, del vecchio teatro andato in fumo. Anche in questa occasione si mossero i privati, e in particolare Ulderico Levi, che qualche anno dopo costruirà a sue spese il primo acquedotto inaugurandolo nel 1885. Sette anni prima, nel 1878, vide cosi la luce il teatro Politeama dedicato al poeta Ludovico Ariosto. Politeama perché si svolgevano spettacoli plurimi. L’impianto architettonico seguì il modello dei politeama inglesi e francesi: la cavea prese forma semicircolare e la struttura a palchi, mantenuta per il secondo ordine, fu sostituita al primo ed al terzo da gallerie uniche. Nel 1927 si pose mano ad una profonda revisione: venne aggiunto il golfo mistico per l’orchestra, furono eliminate le strutture necessarie agli spettacoli equestri ed esterno ed interno furono decorati ex novo da Anselmo Govi con motivi tardo-liberty. Suggestivo il grande affresco della cupola, raffigurante episodi dell’Orlando furioso e cinto alla base da una fascia in cui sono riportati i versi di apertura del poema. Tra il 1925 e il 1938, periodo nel quale, a causa dei dissesti prodotti dalle diverse gestioni del Municipale, dovute in gran parte ai privilegi dei privati che non rinunciavano ai loro diritti sui palchi, il Politeama Ariosto fu l’unico teatro reggiano e vi si tennero diverse stagioni liriche. Ultimo intervento quello del 1981, che ha rilanciato l’Ariosto, divenuto per decenni un cinema, ancora come teatro. C’era una volta un teatro, poi due, il primo, poi il secondo, poi sia l’uno sia l’altro, l’Ariosto e il Municipale che nel 1957 verrà assunto in gestione diretta dal Comune, poi sarà consorzio tra Comune e Provincia e infine Fondazione e che nel 1980 sarà intestato a un attore di prosa, Romolo Valli, mentre al più grande tenore lirico, Ferruccio Tagliavini, hanno intestato solo una viuzza di campagna. Chissà perché nessuno ha voluto darmi retta quando ho proposto di intestare Via Crispi a Ferruccio Tagliavini, la via che si imbatte nella piazza del teatro intestato a Romolo Valli. C’era una volta un artista reggiano, anzi due…
Leave your response!