Dalla Gazzetta di Reggio: “Cosa c’è dietro la crisi delle coop”
Ringrazio il direttore della Gazzetta di Reggio per aver sguainato la scimitarra a difesa dei soci e dei dipendenti delle cooperative in crisi. E anche di aver citato il mio libro, “Il primo cooperatore, Contardo Vinsani il riformista utopistico” a proposito dei socialisti che, secondo Prampolini, non avrebbero dovuto diventar padroni di alcunché. Certo a valutare cause e riflessi della liquidazione di quasi tutta la realtà del cooperativismo della produzione e lavoro non può non sovvenire quel profondo anelito di giustizia e di progresso sociale che animava il movimento cooperativo delle origini. Naturalmente appare fuorviante un paragone in contesti economici e sociali così differenti. Quel che salta agli occhi in tutta la sua evidente diversità é rappresentato dagli obiettivi e dai comportamenti. Gli obiettivi dei fautori del cooperativismo erano essenzialmente due: nel campo del consumo quello di fornire prodotti al più basso prezzo e nel contempo di fare concorrenza ai privati. Antonio Vergnanini, al congresso del Psi del 1904, portò al limite il suo progetto di cooperazione integrale, sostenendo che le cooperative nella provincia di Reggio Emilia erano sul punto di “paralizzare il commercio borghese”. Nel campo del consumo, e ancor più in quello della produzione e lavoro, l’occupazione era l’altro obiettivo da conseguire in una provincia quasi esclusivamente agricola, con la massiccia presenza del ceto mezzadrile. Ma in povertà desolante. Questo doppio obiettivo, raggiunto anche con la qualità dei prodotti e della produzione, ha caratterizzato anche il secondo dopoguerra. Nella prima fase e nella seconda sono i politici a concepire e gestire la cooperazione, con l’eccezione di Vinsani, che odiava i politici, ma che poi si presentò due volte alle elezioni. Antonio Vergnanini e Arturo Bellelli erano leader politici, il primo sarà dal 1913 segretario nazionale della Lega delle cooperative. Il secondo, dopo essere stato deputato al Parlamento, sarà il primo presidente della Federcoop nel 1945. Anche dopo uomini politici furono, con un certo profitto, al vertice della cooperazione reggiana. L’on. Ivano Curti fu ad tempo deputato e presidente del Consorzio di produzione e lavoro, Renzo Testi, da sindaco Pci di Correggio, approdò alla presidenza della Coop Nordemilia portando un contributo positivo, Niger Ficarelli e Giulio Fantuzzi furono, negli anni ottanta, presidente e vice presidente della Federcoop provenendo da esperienze di partito (Ficarelli era già stato assessore socialista nel Comune di Reggio e Fantuzzi ne diventerà sindaco poco dopo). Nel dopoguerra, e fino alla fine del vecchio sistema politico, i due partiti fornivano alle cooperative i loro uomini e in ogni cooperativa ad un presidente comunista faceva da contrappeso un vice socialista. E viceversa. Mentre il Pci, come testimonia un’eloquente dichiarazione di un suo esponente nel 1993, decideva presidenti, vice presidenti e direttori generali, il Psi lasciava che a decidere fosse la componente socialista della Lega, magari facendo qualche pressione non sempre risolutiva e che suscitava spesso tensioni. Questo sistema ha funzionato. Gli stessi soci si sentivano più garantiti dalla presenza delle forze politiche che poi erano le stesse che gestivano le amministrazioni pubbliche. Tutto questo si é poi via via trasformato. Sono nati i cosiddetti manager cooperativi, che pur orientati politicamente, altrimenti non avrebbero potuto assurgere alle alte vette, si sdegnavano dei partiti e si autoproclamavano dirigenti e tecnici. Penso che questa nuova generazione di cooperatori abbia avuto il grosso limite, tranne poche eccezioni, di non vedere più avanti del proprio naso. Di non saper prevedere quel che sarebbe successo e di deresponsabilizzarsi come se un dirigente potesse solo gestire in tempo di vacche grasse, altrimenti meglio alzare le braccia. Ad esempio, a Reggio qualche cooperativa, vedi la Cmr, ha pensato a una crescita costante della popolazione. Reggio, che dagli anni ottanta é cresciuta a dismisura, da 130 mila a oltre 170 mila abitanti, avrebbe dovuto crescere ancora. Questa era anche la previsione del vecchio piano regolatore e i seimila appartamenti al parco Terrachini sono stati la tomba di una cooperativa senza capacità di scrutare l’orizzonte. Che dire poi del rifiuto di Orion di investire sui Petali (era la capofila di un’eventuale operazione cooperativa). Fatta dai privati si é rivelata un grande affare. Potrei continuare citando invece altre imprese cooperative che mostrando altro fiuto politico si sono salvate diversificando i loro investimenti, come la Cmb di Carpi o la Cmr di Ravenna o la più piccola nostra Tecton. Si perché a volte i manager veri esistono, é chiaro. Ma sono manager dotati di visione politica. Non tecnici dell’addizione. Resta il fatto che in genere lo sganciamento dalla politica e l’improvvisarsi manager tout court ha favorito la costituzione di una sorta di casta cooperativa, con scarsi e non sempre corretti rapporti con dipendenti e soci. Alti stipendi, altri incarichi tutti remunerati in una serie impressionante di società con altrettanti consigli, presidenze e vice, auto e telefonini pagati dall’azienda, altri privilegi. Tutto questo in barba alle esigenze dei dipendenti e spesso dei soci. Domanda logica. Possibile che questi ultimi non sapessero quel che stava accadendo? E’ colpa del loro disinteresse o della cattiva informazione dei vertici? Come mai, mi informano, nell’Unieco mentre alcuni dirigenti hanno sottratto i loro risparmi i soci li hanno lasciati dov’erano col rischio di perderli? Siamo arrivati al punto di non ritorno e del futuro cominceremo a parlare mercoledì prossimo al convegno promosso dal Centro Camillo Prampolini (hotel Cristallo, ore 17 e 30). E’ iniziata la nuova Reggio. Penso che discuterne non sia un male. Una volta l’avvocato-poeta Corrado Costa mi disse che Reggio era diventata capitale del balletto perché la danza é l’unica arte muta. C’é bisogno, dopo tutto quel che é successo, di una Reggio che parli, invece.
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