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Rosselli ottant’anni dopo

9 Giugno 2017 1.139 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Carlo e Nello Rosselli furono trucidati il 9 giugno 1937, proprio ottant’anni fa, da un gruppo della destra eversiva francese aderente alla Cagoule, a Bagnoles sur l’Orne, località di cure termali ove Nello aveva raggiunto poco primo il fratello Carlo, esule in Francia. Si suppone che l’ordine dell’omicidio sia partito dall’Italia. Carlo e Nello erano figli di genitori che avevano fatto dell’arte la loro ragione di vita. Appartenevano a una generazione di origine ebraico-toscana, che aveva vissuto a Vienna, dove nel 1895 era nato il primogenito Aldo, poi si era trasferita a Roma, ove Carlo nacque nel 1899 e Nello l’anno dopo, poi a Firenze. Il fratello più anziano, Aldo, morì in guerra nel 1916, meritando una medaglia d’argento alla memoria, ma tutta la famiglia Rosselli, compresi i giovanissimi Carlo e Nello, erano interventisti, alla luce della loro formazione risorgimentale venata di forti suggestioni mazziniane.

Lo stesso Carlo, nel 1918, fu arruolato in un battaglione di alpini in Valtellina, ma non fece in tempo a sparare un solo colpo perché la guerra finì. La sua formazione politica si sviluppa tutta negli ambienti universitari fiorentini dove Carlo si laurea in un corso in Scienze sociali con una tesi sul sindacalismo, e conosce Gaetano Salvemini, che diviene presto il suo punto di riferimento politico. Carlo Rosselli già aveva collaborato al giornalino di propaganda studentesca “Noi giovani”, fondato da Nello durante la guerra. Carlo si avvicina nel dopoguerra al Partito socialista e partecipa al congresso di Livorno del gennaio 1921, quello della scissione comunista, parteggiando per i riformisti di Filippo Turati, iniziando subito dopo la collaborazione alla rivista Critica sociale. Nell’ottobre del 1922 i massimalisti del Psi espellono i riformisti che fondano il Psu a poche settimane dalla marcia su Roma e dalla costituzione del primo governo Mussolini. Poco dopo Carlo Rosselli si trasferisce a Torino, iniziando una collaborazione con la gobettiana Rivoluzione liberale. I suoi approcci culturali andavano chiarendosi. Il suo bisogno di conciliare gli ideali socialisti con la cultura liberale sono ormai maturi.

Questo giovane, Piero Gobetti, con la rivista “La rivoluzione liberale”, tra il 1920 e il 1924 aveva approfondito i legami tra liberalismo e socialismo, auspicando anche che il liberalismo divenisse la teoria delle èlites operaie (Gobetti aveva vissuto molto da vicino la fase dell’occupazione delle fabbriche in una città industriale come Torino). Entrambi, Gobetti e Rosselli, si interrogavano sugli errori dei vecchi partiti a fronte dell’avanzata fascista e proponevano una opposizione senza sconti al regime. Però Gobetti, che pure aveva ottimi rapporti con Gramsci, ma non con Togliatti che lo definirà “parassita della cultura”, si definiva liberale e, anche se il suo liberalismo era a sfondo sociale, pensava a una società di produttori, insomma aveva una visone del liberalismo profondamente radicato nel mondo del lavoro, ma non aveva abbracciato le teorie marxiste. Anche per Rosselli era possibile dare un’altra interpretazione del socialismo, al di fuori del marxismo. Il suo socialismo doveva intendersi come un “divenire perenne”. Egli scrive: “Non vi è giorno in cui potrà dirsi realizzato. E’ un ideale di vita, d’azione, immenso, sconfinato, che induce a superare di continuo la posizione acquisita conforme all’elemento dinamico progressista dei ceti inferiori che salgono irresistibilmente”. Viene inevitabilmente nella mente Bernstein, il più grande filosofo revisionista della storia, e riappare la sua massima “Il mezzo è tutto, il fine è nulla”

Carlo non ha dubbi e si iscrive al Psu di Giacomo Matteotti, che ne diviene segretario. Rifugge da una visione comunista e bolscevica della società. Contesta duramente il modello sovietico. Nel febbraio del 1923 é con Salvemini e Rossi tra i protagonisti della fondazione a Firenze del Circolo di cultura, che registra anche la partecipazione del giovane Sandro Pertini. Poco dopo si laurea in Giurisprudenza a Siena e raggiunge Salvemini a Londra, dove studia il fenomeno laburista. Torna in Italia e poco dopo ottiene un incarico all’Università Bocconi di Milano anche grazie ai buoni uffici di Salvemini. La situazione italiana volge al peggio. Dopo il delitto Matteotti Carlo ricava, anche attraverso il fallimento dell’Aventino, la sensazione che l’opposizione al fascismo sia destinata solo a generare delusione e sconforto. Nel gennaio del 1925 con Salvemini, Rossi e Calamandrei lancia la rivista Non mollare, che é un solenne impegno a continuare la lotta dopo la restaurazione mussoliniana, ma la rivista viene ben presto chiusa. Il 26 novembre 1925 Rosselli, con Claudio Treves e Giuseppe Saragat, costituì un triumvirato che, il 29 novembre successivo, fondò clandestinamente il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI), che prese il posto del P.S.U., sciolto d’imperio dal regime fascista, il 14 novembre, a causa del fallito attentato a Mussolini da parte del suo iscritto Tito Zaniboni, avvenuto il 4 novembre precedente. Poco dopo sposa una giovane laburista inglese Marion conosciuta a Firenze. I due coniugi vivono a Milano dove Rosselli lancia con Pietro Nenni la rivista Quarto stato.

Dopo le leggi eccezionali derivate dall’attentato di Zamboni a Mussolini, avvenuto a Bologna, Carlo Rosselli perde il lavoro. Con Pertini, Parri e Oxilia progetta la fuga di Turati che con un’imbarcazione che lascia la Liguria per raggiungere Nizza e da li Parigi. Parri e Rosselli però ritornano in Italia sbarcando a Marina di Carrara. Vengono poi arrestati. Rosselli é assegnato al confino di Lipari. E qui viene poi raggiunto dalla moglie e dal figlioletto John. La fuga dall’isola é un atto progettato da Salvemini da Parigi e diviene realtà nel 1929 anche grazie al concorso di Fausto Nitti ed Emilio Lussu, oltre che di Oxilia. I quattro raggiungono la Tunisia con un’imbarcazione di fortuna, poi arrivano in Francia. Parigi é un covo di rifugiati politici. Tra loro Turati, Nenni, Modigliani, il meglio della tradizione socialista che costituì il nerbo dell’antifascismo estero e che sarà la base della futura Concentrazione antifascista. Da Lipari Carlo si era portato gran parte del manoscritto del suo libro Il socialismo liberale, dove si trovò a ricercare già nell’elaborazione di Marx i germi della deviazione autoritaria leninista. Dunque porre la questione liberale alla sinistra italiana serviva anche per definire la necessità di una vera lotta alla dittatura fascista.

Rosselli è innanzi tutto un teorico e si propone una nuova teoria contestando la vecchia. Parte da una valutazione di Marx e del suo socialismo scientifico, di stampo determinista. Gli appare un insostenibile armamentario di analisi e previsioni, assolvendo, in parte le prime, e contestando a fondo le seconde. Marx analizzava la società del suo tempo, il
capitalismo delle origini, come poteva prevedere il suo sviluppo e le conseguenze del suo sviluppo in termini così netti? Cos’era, poi, questa teoria della necessità? Se il socialismo sarebbe arrivato come sbocco fatale della crisi del capitalismo e della contraddizione tra le forze produttive e i rapporti di proprietà, allora che spazio c’era per la libera volontà? E cos’era mai questo proletariato, inteso come demiurgo, che non può sbagliare mai, destinato prima o poi al potere? Quel potere che, aggiungiamo noi, era stato preso in Russia, non a causa della crisi del capitalismo, ma a causa della crisi dello zarismo. E non in una società industriale moderna, ma in una società agricola di tipo arcaico. E cos’era mai questa proletarizzazione inevitabile della società, che passava attraverso l’eliminazione dei ceti intermedi, che peraltro non si è mai verificata in nessuna nazione capitalista? Cosí Rosselli si distacca anche dai riformisti che con Treves criticano Rosselli per aver abbandonato la teoria socialista. Loro erano revisionisti più nella tattica che nella teoria. Anche su questo Carlo non mollò di un dito fondando il suo nuovo movimento Giustizia e libertà. La sua intransigenza che si concretava ad un tempo in una lotta senza quartiere e senza scrupoli contro la dittatura fascista e in un indirizzo strenuamente liberale della sua politica fu alla base delle sue coraggiose invettive contro i tentennamenti e i tatticismi degli altri partiti.

Dopo l’avvento del nazismo in Germania nel 1933, il suo movimento sostenne la necessità di una rivoluzione preventiva per rovesciare i regimi fascista e nazista prima che questi portassero a una nuova tragica guerra, che a Giustizia e Libertà sembrava l’inevitabile destino dei due regimi. Quando esplose la guerra di Spagna Rosselli se ne uscì con il famoso slogan: “Oggi in Spagna, domani in Italia”, che testimoniava come quel conflitto non fosse rinchiuso dalla catena dei Pirenei. Contestò Francia e Inghilterra per i mancati aiuti ai repubblicani, sorretti invece dai sovietici. Partì per la Spagna e combattè a Huesca (Aragona) poi tentò di costituire un battaglione intestato a Giacomo Matteotti. Dopo la sua morte un battaglione Rosselli partì dall’Italia costituito da uomini di Giustizia e libertà e da anarchici tra i quali Camillo Berneri, che verrà poi ucciso dagli stalinisti a Barcellona. Dopo la morte sua e del fratello Nello continuarono a combattere con le idee del suo socialismo liberale tanti amici e compagni, molti dei quali costituiranno il Partito d’azione. La salma dei fratelli Rosselli verrà poi traslata in Italia nel 1951 e i loro corpi sepolti al cimitero monumentale di Firenze, con la commemorazione di un anziano Salvemini. Stona ancora il duro e sprezzante giudizio di Togliatti su Il Socialismo liberale: “Un magro libello antisocialista”, mentre Rosselli venne dipinto come “un ideologo reazionario che nessuna cosa lega alla classe operaia”. La storia, a proposito di coerenza democratica e di ideali socialisti, ha poi rimesso le cose al loro posto.

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